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La linea 6 della metropolitana di Napoli non è l’esempio emblematico, ma basta a far capire dov’è e qual è il problema. Ed un problema molto poco europeo e tanto spiccatamente italiano. I fondi strutturali, quelli che l’Ue eroga agli Stati membri attraverso i suoi tre principali strumenti finanziari – Fondo sociale europeo (FSE), Fondo di sviluppo regionale (FESR), Fondo di coesione – in Italia si perdono. Tra errori di programmazione, cattiva amministrazione, e pure per problemi culturali.

La Commissione europea non è chiamata a giudizi. Non è tenuta a dire quanto fruttino, in termini di sviluppo economico, i progetti una volta portati a termine. Però, i paragoni vengono da soli. I giudizi sono inevitabili. Gli addetti ai lavori non possono dirlo, però le politiche di coesione in Italia sono un fallimento.“Nel mezzogiorno con 40 anni di politiche di coesione non è cambiato nulla”, ammettono senza andare troppo per il sottile.

“Altre regioni di altri Paesi, più povere di quelle del sud Italia, ne sono uscite meglio”. Questo è un problema. Lo è per l’Europa, che spende di fatto a fondo perduto, e lo è per gli italiani, che non riescono a capire quanto l’Ue faccia per loro. Prendendo solo gli ultimi due cicli di programmazione economica, in quindici anni l’Italia beneficerà di almeno 70 miliardi di euro (27 miliardi per il periodo 2007-2013, 42 miliardi per il periodo 2014-2020).

Soldi destinati per la maggior parte alle regioni del Mezzogiorno e alle isole. Ma a Bruxelles storcono il naso. “Diamo miliardi ma non si vede”. Il problema non sono i programmi. Il problema sta nella capacità amministrativa”. Il progetto di Napoli è l’esempio. Ricade nel programma di finanziamento 2007-2013, ma “non potrà essere finito neppure quest’anno”, si lamenta. Il programma è stato presentato e l’Ue ha destinato 98 milioni di euro. Ma ci sono problemi. Gli enti locali litigano con il ministero per i Beni culturali per via delle griglie di aerazione. Il ministero non ha concesso le autorizzazioni per farle in piazza del Plebiscito. Il Tar della Campania ha sospeso la decisione. Il ministero valuta il ricorso. Tutto bloccato. Ancora, sono stati trovati reperti archeologici. Di più: per permettere il funzionamento della nuova linea occorrerebbero 62 dipendenti, tra macchinisti, operai e agenti di stazione, al costo di 2,5 milioni l’anno, ma Azienda Napoletana Mobilità (ANM) non ha bandito nessun concorso. A Bruxelles lo confidano con un certo fastidio: “Non è questo il modo di organizzare e gestire i progetti”.

Nello specifico l’Italia rischia di perdere 98 milioni per il progetto napoletano. In generale si vedono le amministrazioni locali litigare con quelle nazionali, non si vedono cabine di regia, si vedono tagliati fuori i Comuni. A Bruxelles si guarda con un certo interesse all’ANCI, l’associazione dei Comuni italiani. Si pensa che andrebbero coinvolti di più. Una cosa a cui l’Italia non sembra aver mai neppure pensato.

A fine 2018 risulta spesa il 20% delle risorse del fondo sociale europeo (3,4 miliardi di euro), e il 19% delle risorse per lo sviluppo regionale (6,4 miliardi). Addirittura, non risulta speso un centesimo dalle risorse europee provenienti dal fondo per il Mare e la pesca (570 milioni). Poca roba, comparata rispetto al resto della torta di soldi destinata all’Italia. Però l’Italia resta pur sempre una penisola. Che non spende per le attività di mare. Le cattive amministrazioni locali. Nel documento di 250 pagine si annidano giudizi dell’Europa sul Paese. Il più emblematico, perché diretto, quello sul governo.

“Nel 2015, Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia sono risultati essere i paesi UE con i governi più efficienti. I paesi con il governo meno efficiente sono stati Romania, Bulgaria, Grecia e Italia”. Una bocciatura a Renzi, tanto per parafrasare, considerato come incapace di invertire tendenze da capogiro. Tra il 2000 e il 2008, vale a dire prima della crisi, le regioni italiane “si sono allontanate dalla media UE”. Si sono cioè impoverite.

A livello europeo “le riduzioni più consistenti del PIL pro-capite hanno interessato Grecia e Italia, in quest’ultima sia prima sia dopo la crisi”. Al sud, si rivela, c’è un problema di emigrazione che non viene colmato. La gente parte, e restano gli anziani. Il problema di un sud di pensionati, per definizione non forza lavoro. Il divario col nord aumenta, perché il nord produce, il sud non ha la forza per farlo. Ancora, “mentre i principi meritocratici tendono a prevalere in gran parte di Regno Unito, Germania e Finlandia, la “fortuna” e le “conoscenze” sono considerati i principali fattori determinanti in Italia e in Grecia”.

Tutte tipicità italiane, che si ripercuotono nel momento di attuare le politiche di coesione, che restano non a caso “al di sotto del potenziale”. La politica di coesione contiene dei meccanismi per migliorare la governance fiscale e macro-economica. “Il problema è che l’Italia è contraria alla condizionalità macro-economica”, lamentano a Bruxelles. Procedere in questo modo è difficile, e l’UE incide poco. Non per colpe sue.


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