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Il ministro dell'economia Giovanni Tria

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Svantaggiato, in termini di risorse messe a disposizione per investimenti e servizi ai cittadini, sia a livello centrale che a livello regione e a livello comunale.

Così si presenta la situazione del Mezzogiorno, mentre attende di essere pienamente attuata la legge 42 del 2009 sul federalismo, e allo stesso tempo prende quota, seppure con molte criticità, la riforma dell’autonomia delle tre regioni del Nord, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

Tema questo, sul quale il ministro dell’Economia e delle finanze, Giovanni Tria, ha comunque manifestato grossi dubbi in Parlamento nonostante la spinta della Lega ad andare avanti.

Naturalmente non basta riequilibrare le risorse per migliorare la vita dei cittadini nei territori del Mezzogiorno, se questa operazione non è accompagnata da un generale efficientamento della macchina amministrativa di cui devono farsi carico gli amministratori e chi ricopre ruoli di responsabilità.

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In sostanza, servono risorse finanziarie adeguate ed è necessario che esse siano spese bene.

In questo processo non si parte da zero, ma molto resta da fare.

IL NODO INVESTIMENTI

Come spiegato nei giorni scorsi dalle pagine di questo giornale, un salto di qualità importante per il Sud sarebbe più facile se venisse attuato il riequilibrio degli investimenti ordinari delle pubbliche amministrazioni in base alla popolazione residente (LEGGI L’INCHIESTA DELL’ALTRAVOCE DELL’ITALIA SUI 61 MILIARDI SOTTRATTI OGNI ANNO AL SUD). Ne ha parlato pochi giorni fa anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, con la lettera al Quotidiano del Sud (LEGGI LA LETTERA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIUSEPPE CONTE AL QUOTIDIANO DEL SUD L’ALTRAVOCE DELL’ITALIA). Bisogna recuperare un gap del 6%.

Il Documento di economia e finanza, approvato due giorni fa dal Parlamento, prevede l’impegno ad attuare la quota del 34% per gli investimenti ordinari delle pubbliche amministrazioni centrali nel Mezzogiorno (oggi siamo al 28%), ma al momento è uno dei buoni propositi sulla carta. Un passo avanti, perché sono almeno elencati i programmi di cinque ministeri (Salute, Infrastrutture, Istruzione, Giustizia, Interno) che saranno assoggettati alla quota riservata, ma anche un rinvio a un decreto di attuazione da emanarsi entro il 30 giugno.

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Anche la situazione delle Regioni del Sud mostra evidenti distorsioni.

Il fenomeno della mobilità sanitaria è un business da circa 4,6 miliardi l’anno e anche in questo caso il saldo è negativo per il Sud (LEGGI). Ogni anno centinaia di migliaia di cittadini del Mezzogiorno si avventurano nei viaggi della speranza verso gli ospedali del Centro Nord per trovare centri maggiormente specializzati, un’assistenza migliore. E così la Campania perde 302 milioni di euro, la Calabria 319 milioni, la Sicilia 239. Le regioni più richieste, il cui saldo risulta positivo, sono la Lombardia, che guadagna 808 milioni, la Toscana (148 milioni), l’Emilia Romagna (357 milioni).

Le regioni del Sud hanno fatto notevoli passi avanti per riequilibrare i conti della sanità, ma il meccanismo di riparto del Fondo sanitario nazionale ancora le penalizza e non le mette nelle condizioni di voltare pagina. Gli attuali criteri, che tengono conto dell’invecchiamento della popolazione mentre non considerano le condizioni socio sanitarie (indice di deprivazione) e gli indicatori epidemiologici, penalizzano la sanità nel Sud e ne frenano il rilancio.

Anche i Comuni del Mezzogiorno vivono una situazione analoga. Oggi nei Comuni delle regioni del Sud si spende meno per i servizi ai cittadini rispetto al Nord (LEGGI L’INCHIESTA), ma questo non significa che siano meno “spendaccioni”, piuttosto che erogano minori prestazioni, a danno delle famiglie che non possono contare su asili nido, servizi di trasporto scolastico all’altezza delle esigenze, mense, per non parlare di servizi pre-post scuola o di centri estivi.

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