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Il palazzo del Campidoglio

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Sul debito di Roma si sta giocando la sorte di questo Governo e di questa maggioranza ma soprattutto quello delle famiglie e delle imprese di Roma. Le rissa che è in atto va a scapito della chiarezza e della trasparenza e soprattutto sta facendo pagare un prezzo alto ai cittadini romani e a tutti gli italiani, poiché il buon nome e la salute di una Capitale si riverberano inevitabilmente sull’immagine e sul buon andamento dell’intera Nazione.

Per capire cosa sta succedendo, e conseguentemente per orientarsi nella confusa condotta del Governo e della maggioranza su questa vicenda, bisogna necessariamente tornare al 2009, allorquando il problema a del presunto “debito pregresso” di Roma fu affrontato dal Governo nazionale Berlusconi-Bossi e dalla Giunta Alemanno di Roma. Nel 2008 il Comune di Roma aveva un debito pro capite inferiore a quello di Milano e di Torino.

I dati ufficiali della Ragioneria dello Stato lo dimostrano. Non esisteva pertanto un’emergenza debitoria tale da giustificare misure eccezionali. Tutti i Comuni italiani hanno un indebitamento cronico accumulato nei decenni e che dipende da una serie di storture e di problemi legati alla struttura della finanza locale, alle modalità dei trasferimenti, al livello patologico di evasione fiscale di cui soffre il Paese, alla vetusta legislazione vigente in materia urbanistica e di espropri e al grande numero di contenziosi legati ad appalti e realizzazione di opere pubbliche.

Nonostante questo, però, nel 2008 Roma non era in emergenza. Non voglio fare polemiche retrospettive, anche perché quel che conta oggi, sono i superiori interessi della città e del Paese e non quelli ristretti di parte. Però va pur detto che Alemanno, divenuto da poco Sindaco, si trovò davanti ad una imprevista crisi di liquidità dovuta non al debito pregresso ma a due altri fattori: le mancate entrate dell’Ici (pari a 500 milioni di euro di spesa corrente) abolita da Berlusconi e ancora non compensata ed i mancati trasferimenti regionali del fondo trasporti da parte della Regione Lazio, che si trovava a sua volta alle prese col debito della Sanità generato negli anni della giunta Storace.

COME NACQUE TUTTO

Per evitare una paralisi finanziaria e per evitare di dover svelare i motivi di questa crisi di liquidità si decise di inventare la bufala del “debito pregresso” con il famoso “patto della pajata” in base al quale si creò una struttura commissariale che avrebbe gestito l’intero debito del Comune di Roma (una sorta di bar company), lasciando il Comune di Roma libera da ogni fardello, leggera come una piuma. Cosa mai accaduta dal 1870 in poi. Per la prima volta nella storia italiana la Capitale fu liberata da ogni debito anche se poi, dopo il 2009, furono generati quindi generati altri due miliardi e mezzo di debiti successivi al 2008. Questo avvenne in parte per scelte sbagliate di quelle Giunte ma anche per motivi oggettivi legate agli oneri che Roma deve sopportare per la sua funzione di Capitale senza adeguato sostegno dello Stato, la qual cosa riproduce continuamente deficit e quindi debito. Non basta. Il “patto della pajata” prevedeva altre clausole. Sul piano istituzionale Alemanno volle che nella Costituzione fosse esplicitamente richiamato il ruolo di Roma come Capitale dello Stato italiano. Cosa giusta. La cosa gli fu concessa ma fu, in realtà, un pennacchio perché la Lega Nord non concesse altro che una dicitura formale senza alcun vero potere (ricordo che Bossi era ministro per le riforme e Maroni ministro dell’Interno) e pretese invece in cambio che fosse demolita l’unica legge speciale per Roma (in vigore dal 1990 e su cui si era battuta sempre la sinistra storica), la 396/90 per Roma Capitale, che aveva consentito il trasferimento (fino a quel momento) di una dotazione aggiuntiva a Roma per i suoi oneri di Capitale, per un cifra media annuale di 100 milioni di euro e che consentì di realizzare importanti opere pubbliche e di modernizzazione infrastrutturale tra il 1993 ed il 2008 (Giunte Rutelli e Veltroni). Infine. Il debito, messo in capo al Commissario Straordinario, si sarebbe dovuto pagare con una riserva finanziaria annuale di 500 milioni di euro dei quali 300 erogati dal Ministero dell’Economia (presi dalle tasse di tutti gli italiani) e 200 da una maggiorazione Irpef e tasse aeroportuali a carico dei romani. Il tutto fino al 2048. Una pressione fiscale aggiuntiva e prolungata nel tempo che ha finito, come appare evidente dalle cronache capitoline, per determinare una diffusa conflittualità sociale ed un clima di tensione che si genera per il blocco dell’economia urbana, la crisi delle imprese, lo scadente stato della manutenzione urbana e dei servizi, il decadimento generale della vita civile e dell’amministrazione.

I CONTI NON TORNANO

Il calcolo della massa debitoria pregressa fu effettuato in modo rozzamente matematico e computato a 21 miliardi, includendovi impropriamente persino gli interessi dei debiti finanziari. Come se per estinguere il debito di un fallimento di calcolassero anche gli interessi gravanti sui mutui accesi sul patrimonio incamerato dal fallimento e non come sarebbe corretto, il solo capitale residuo. Il danno provocato da quella stagione e che ebbe protagonista la destra nazionale, leghista è stato, per Roma, davvero, questo sì, incalcolabile.

A Salvini bisognerebbe ricordarlo ogni giorno e ben dovrebbero farlo i suoi alleati di Fratelli d’Italia che si battono per Roma e per il Sud. Maggiori tasse fino alla metà del secolo, minori trasferimenti per investimenti e per il ruolo di Capitale, un discredito generale di Roma, una grave crisi morale ed economica. Era chiaro che non si poteva reggere in una tale situazione. In Parlamento abbiamo più volte sollevato, come Partito democratico, il problema di Roma e della necessità di fare un’operazione verità sul debito che comportasse, soprattutto, una revisione delle misure sul rientro, riportando le cose ad una lettura più corretta e ad una gestione ordinaria e ordinata. Recentemente abbiamo costituito un Osservatorio parlamentare trasversale di deputati e senatori di Roma (di destra e di sinistra) per sollevare la necessità di una seria discussione su Roma e di decisioni efficaci e non propagandistiche per affrontare le difficoltà che colpiscono la Capitale d’Italia. Ci sono in gioco interessi comuni di tutti gli italiani, di tutti i romani e del Mezzogiorno. Non si può più giocare con la propaganda.

Ben presto sono state chiare due cose, grazie anche al lavoro svolto dalla dottoressa Silvia Scozzese, come Commissario del Governo per il debito, che fu ascoltata nel 2016 in Commissione Bilancio alla Camera. La prima è che il debito finanziario si poteva ristrutturare, ricontrattando con banche e istituti finanziari tassi e tempi più agevoli, essendo passati anni dalla loro accensione. Va, per inciso, ricordato che i debiti finanziari contratti durante la Giunta Veltroni erano legati esclusivamente alla realizzazione di opere pubbliche (come, del resto, la legge imponeva dal 2001) come soprattutto le metropolitane. La seconda è che il debito commerciale (verso fornitori o da contenzioso amministrativo) era per oltre metà insondabile in termini di creditori e non era chiaro a chi riferirlo, essendo in molti casi passati interi decenni. Per questo, già dal 2006, si iniziò ad immaginare un percorso di uscita dalla eccezionalità ma il governo di centrosinistra non fece in tempo a rendere operativo questo transito per tornare alla normalità. La norma proposta dalla Raggi dalla Castelli aveva quindi un suo “perché” e una sua storia.

IL MORBO POPULISTA

Ma la Raggi ed il Movimento Cinque Stelle, rapiti dal morbo populista e propagandista, resi disperati dalla esigenza di gasare l’opinione pubblica romana insoddisfatta e critica, hanno definito quella che era una logica operazione di ristrutturazione finanziaria come un “Salva Roma”.
Così hanno offerto a Salvini, storico, giurato e imperituro avversario di Roma, del Sud e del tricolore e da sempre interessato solo e soltanto al destino delle tasse del nord est, l’occasione per parlare di un “favore” a Roma e fare propaganda populista nelle regioni del Nord. Risultato: una rissa tra un ministro nemico di Roma ed un Sindaco di Roma incapace di difendere la sua città con in mezzo il Vice premier Di Maio che non sa che pesci pigliare e diserta persino il Consiglio dei Ministri per paura di dover fare la crisi e perdere la poltrona. Ora è saltato tutto e siamo da capo a dodici. Siamo all’ennesima fake news, perché non ci sarà alcuna norma per rivedere correttamente la partita di Roma.

CAPITALE SENZA POTERI

Ma di Roma si deve parlare seriamente in Parlamento. Si deve affrontare in primo luogo il tema dei poteri della Capitale, del suo ordinamento. Roma è la sola capitale europea che non gode di un regime speciale di rango regionale autonomo sancito dalla Costituzione.
Roma deve avere questa specialità, come è giusto che la abbiano anche Milano e Napoli che, pur non essendo capitali lo sono state ma soprattutto sono due metropoli di rango internazionale. Il tutto dentro una revisione territoriale delle regioni italiane che sonno troppe è troppo costose. Per questo già nel 2013 ho presentato col senatore Ranucci una proposta di legge, abbastanza nota. Sulla prospettiva di Roma regione c’è lo spazio di una convergenza tra la sinistra e la destra.
Vale dunque la pena discuterne. Questo sarebbe un modo serio per affrontare il tema di una riforma dello Stato e del regionalismo italiano che si colleghi alla migliore tradizione federalista e democratica italiana di Cattaneo, Salvemini, Dorso e Spinelli. Altro che Spacca Italia! Altro che federalismo differenziato! Altro che egoismi territoriali! Il tema di Roma Capitale deve essere affrontato in un contesto organico e nazionale e in un quadro di verità e senza più truffe, bufale e propaganda. Per il bene di Roma e dell’Italia intera.


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