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L'interno di un ospedale

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È “drammatico il divario che caratterizza la qualità del sistema sanitario nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno”, ma il “problema principale non pare connesso all’esigenza di ridurre la spesa eliminando gli sprechi, ma è anzi legato all’esigenza di poter beneficiare di un più equo meccanismo di attribuzione delle risorse del Fondo sanitario, per poter sostenere gli investimenti indispensabili per recuperare il gap infrastrutturale con il resto del Paese e per incrementare la qualità dell’offerta, riuscendo a garantire i Lea come previsto dalla Costituzione italiana”. Se la sanità al Sud soffre non è per colpa di una malagestione, ma per un “furto” storico: le Regioni del Mezzogiorno hanno, grazie all’uso di parametri non equi, per anni ricevuto meno soldi dallo Stato, meno di quanto ne avrebbero avuto diritto e molto meno rispetto al Nord, avvantaggiato.

TRE MILIARDI IN PIÙ

L’Emilia Romagna, ad esempio, negli ultimi 13 anni ha ricevuto 3 miliardi in più rispetto alla Puglia a parità di popolazione. E’ quanto emerge dal rapporto “La finanza territoriale 2018” elaborato da un istituti di ricerca economica e sociale di diverse regioni: il gruppo di coordinamento, infatti, è composto dall’Ires Piemonte, Irpet, Srm – Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, PoliS Lombardia, Ipres (Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali) e Liguria Ricerche. Una situazione che, secondo lo studio di 272 pagine, è destinata a peggiorare in caso di via libera all’autonomia differenziata: basti pensare che solamente la Puglia perderebbe 282 milioni di euro all’anno di Iva sanitaria. Il peggioramento del differenziale Nord-Sud ha avuto ripercussioni persino sull’aspettativa di vita: se alla nascita un napoletano ha un’aspettativa di 81,1 anni, un neonato del Trentino Alto Adige può contare di raggiungere, mediamente, gli 83,6 anni. Persino la speranza di vita in buona salute oscilla dai 59,6 anni del Nord ai 56 anni del Sud.

IL RIPARTO ASSURDO

Ma cosa è successo in questi decenni? Lo spiegano i professori che hanno elaborato il rapporto: “Il riparto del Fondo sanitario nazionale – è spiegato . avviene di fatto per quote capitarie. La legge 662 del 1996 ha previsto l’utilizzo di quote capitarie pesate. L’articolo 1 comma 34 della richiamata legge 662 ha previsto che, ai fini della determinazione della quota capitaria, in sede di ripartizione del Fondo sanitario nazionale, i pesi siano attribuiti ai seguenti elementi: popolazione residente, frequenza dei consumi sanitari per età e per sesso, tassi di mortalità della popolazione, indicatori relativi a particolari situazioni territoriali ritenuti utili al fine di definire i bisogni sanitari delle regioni e indicatori epidemiologici territoriali”. Ma dove si nasconde il trucco che ha favorito il Nord? “Per motivi storici e utilitaristici – si legge nella relazione – la quota capitaria è stata in realtà pesata, per circa il 40%, tenendo conto solo del criterio del sesso e dell’età, mentre gli ultimi due parametri non sono mai stati presi in considerazione”.

L’EDITORIALE DEL DIRETTORE ROBERTO NAPOLETANO

LE PEPITE D’ORO DELLA SQUADRA DEI RICCHI

 

Questo criterio di riparto, del tutto opinabile, viene usato da ormai 15 anni con effetti devastanti per il Sud. “Utilizzando solo la ponderazione per età per l’aggiustamento della quota capitaria, sono privilegiate le regioni con una maggiore popolazione anziana”, cioè quelle del Nord, è scritto nel rapporto. Ma com’è possibile che il Mezzogiorno non abbia mai fatto sentire la propria voce? Pare sia stato fatto: “Diverse regioni – si legge – hanno in più occasioni richiesto di aggiornare i criteri di riparto, ma sempre senza successo, soprattutto perché nessuno intende recedere dai propri livelli di finanziamento e perdere status acquisiti”. Risultato, il Sud ha subito “una decurtazione di milioni di euro annui rispetto a una ripartizione al 100% per popolazione secca”. Al contrario, la quota capitaria pesata per età permette “di ricevere una assegnazione maggiore rispetto a quella per quota capitaria secca”. Per spiegare con i numeri quanto accaduto negli ultimi 13 anni vengono comparate due Regioni che hanno la stessa popolazione, Emilia Romagna e Puglia.

QUOTA PER ABITANTE

“A parità di popolazione – viene evidenziato – la quota per abitante negli anni è stata sempre notevolmente superiore per l’Emila Romagna, e ciò in ragione del calcolo che tiene conto della popolazione pesata e quindi della popolazione anziana”. E in effetti, basta dare un’occhiata al riparto del fondo degli ultimi 15 anni: nel 2005 l’Emilia Romagna ha ricevuto una quota per abitante di 1.489,61 euro, mentre la Puglia 1.385,29 euro (un delta in favore dell’Emila del 104,32); nel 2006 si è passati a 1.538 euro contro 1.470; nel 2007 1.640 contro 1.562; nel 2008 1.689 contro 1.613 euro; sino al 2017, 1.803 euro contro 1.788 sempre in favore dell’Emilia Romagna che, così, ha potuto spendere di più, investire maggiormente e assumere di più. Ma quanto ha guadagnato l’Emilia in 13 anni rispetto alla Puglia?

Ben tre miliardi di euro, questa è la somma in più ricevuta grazie ad applicazione di criteri opinabili. “Effettuando – si legge nel rapporto – una semplice somma delle differenze tra riparto effettivo per quote pesate e riparto per popolazione secca (senza tener conto della differenza di età) la forbice tra Emilia e Puglia è stata in 13 anni di circa 3 miliardi di euro. Considerando anche gli ulteriori connessi benefici derivanti dalle così dette economie di scala, si comprende da dove possa essere derivata la differente capacità in termini di dotazione strutturale rilevata tra le regioni considerate”. “Le regioni del Centro-Nord”, è ancora sottolineato, “dispongono di quote da riparto storicamente superiori”.

I COSTI MIGLIORI

Questo ovviamente ha permesso loro di spendere di più e meglio di produrre “ulteriori ricavi di esercizio”: circa il 5% all’anno in più rispetto al Sud. “Tale maggiore capacità di ricavi annui – è la conclusione – consente parallelamente di sostenere più elevati livelli di spesa”. “È di tutta evidenza che, se una regione ha altri ricavi (derivanti da: mobilità interregionale, ticket) potrà permettersi, conseguentemente, anche maggiori costi e maggiori investimenti”. Così, la Regione Liguria oggi può permettersi un costo per abitante di 2.180 euro, mentre la Campania di 1.778 euro per abitante; mentre la differenza dei costi di produzione tra l’Emilia-Romagna e la Puglia è di 232 euro per abitante nel 2016. Anche nel costo per il personale dipendente, la principale voce di un bilancio sanitario, ci sono differenze ormai diventate abissali: a fronte di una media nazionale di 611 euro per abitante, si passa dai 658 euro per abitante della Regione Emilia Romagna ai 431 della Campania e ai 485 della Puglia, dove “a causa delle limitazioni derivanti dai Piani di rientro (blocco del turnover), le unità di personale risultano notevolmente insufficienti a garantire adeguati Lea e prestazioni di eccellenza e di alta complessità”.

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Sempre rispetto al personale, oggi la Regione Emilia sostiene un costo superiore a quello della Puglia di ben il 48% circa. “Tale differenza si traduce inevitabilmente in maggiori servizi offerti e in una maggiore capacità di assistenza sanitaria e socio sanitaria”.

DEBITO E FORNITORI

Eppure, nonostante entrate superiori, il debito verso fornitori risulta superiore in Emilia Romagna e sempre in Emilia Romagna risultano ancora da ripianare perdite per 362 milioni di euro, mentre in Puglia tutte le perdite degli anni precedenti (perdite storiche ante 2012) risultano ripianate e le somme erogate alle aziende sanitarie. Un’ulteriore variabile significativa delle differenze è la mobilità sanitaria. Nel 2017 l’Emilia-Romagna ha un saldo attivo di 348 milioni di euro e la Puglia ha un saldo negativo di 172 milioni di euro. Per una regione con saldo passivo, la mobilità rappresenta una duplicazione di costi in quanto la regione deve sempre garantire il proprio servizio pubblico e quindi standard minimi nelle proprie strutture ospedaliere e territoriali.


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