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Due nuovi fondi di investimento, assegnati allo Stato e agli Enti territoriali, per un ammontare complessivo di almeno 50 miliardi su un orizzonte pluriennale. Una bella cifra, che si va ad aggiungere ai circa 150 miliardi già previsti nel bilancio dello Stato da spendere in una decina d’anni.
I due nuovi strumenti dovrebbero avere maggiore facilità di utilizzo e prevedere procedure semplificate di accesso. Le risorse saranno assegnate su obiettivi ben specificati e serviranno ad attivare progetti di rigenerazione urbana, riconversione energetica e utilizzo di fonti rinnovabili.
Il primo dei due fondi servirà per investimenti pubblici su quel tipo di progetti. Il secondo fondo sarà configurato come una sorta di riproposizione della piattaforma Juncker per gli investimenti. Le risorse pubbliche saranno utilizzate come garanzia per consentire ai privati di accedere al credito bancario in maniera vantaggiosa. Molto probabile il coinvolgimento nell’operazione di Cassa Depositi e Prestiti.

Le banche, a loro volta, potranno concedere finanziamenti agevolati a progetti che presentano determinate caratteristiche in termini di sostenibilità, risparmio energetico, fonti rinnovabili.

IL RILANCIO

Il rilancio degli investimenti è un leitmotiv nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef) approvata due giorni fa dal Consiglio dei ministri. E d’altra parte è un motivo ricorrente anche nei diversi interventi del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che punta sulla spesa in conto capitale per quella svolta del Paese in chiave green e inclusione.
L’aumento degli investimenti pubblici e privati è il primo obiettivo nella strategia di sviluppo «con particolare enfasi – si legge nel documento – su quelli volti a favorire l’innovazione, la sostenibilità ambientale e a potenziare le infrastrutture materiali, immateriali e sociali, a partire dagli asili nido».
Un’attenzione particolare, poi, ci si attende per il Sud, dopo gli annunci di un piano straordinario di investimenti per colmare quel gap territoriale che impedisce all’Italia di affrontare in modo omogeneo le sfide dell’innovazione e della competitività.

LA RIDUZIONE DEL GAP

Nella premessa alla Nadef si dice che gli investimenti pubblici «verranno destinati anche alla riduzione del divario tra il Sud e il Nord del Paese. Senza un recupero del Mezzogiorno e senza la sua integrazione nelle dinamiche più vivaci del tessuto produttivo e sociale del Paese l’economia italiana non potrà raggiungere il suo potenziale di crescita sostenibile».
Riferimento appropriato, ma forse è mancato coraggio. Se la riduzione del divario tra Nord e Sud è considerata una questione dirimente per lo sviluppo dell’intero Paese, il governo nella Nadef avrebbe dovuto assumersi impegni più precisi, specificando magari la quota di risorse che saranno destinate al Mezzogiorno.
C’è quella norma del 2016 (governo Gentiloni) che prevede la quota riservata del 34% di investimenti al Sud, parametrata alla popolazione residente, che attende di essere messa in pratica. E’ il minimo che si possa fare per risollevare le aree del Mezzogiorno e non sarebbe un “privilegio” rispetto alle altre aree del Paese, perché il Nord e il Centro avrebbero la loro quota in base alla rispettiva popolazione residente. Finora, invece, hanno avuto molto di più.

L’OBIETTIVO

Su questo fronte sta lavorando il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, con l’obiettivo di attivare concretamente la quota del 34% estendendola al settore pubblico allargato (al momento è un obbligo per gli investimenti ordinari della pubblica amministrazione centrale, delle Ferrovie e dell’ Anas).
Significa ricomprendere anche le aziende partecipate dallo Stato e la Cassa Depositi e Prestiti. Intanto è stata avviata una interlocuzione con loro per capire oggi quale sia la mole di investimenti che impiegano per il Mezzogiorno.


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