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«Se riparte il Sud, riparte l’Italia: non è uno slogan, è una fondata consapevolezza, supportata da evidenze storiche». Ne è convinto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, intervenuto ieri alla presentazione del Rapporto Svimez 2019. Analizzando dati e tabelle contenute nel Rapporto emerge il quadro desolante di un Sud abbandonato a se stesso da decenni e per il quale nel 2019 si prospetta la recessione. Ma al divario tra Centro-Nord e Sud, che tende inevitabilmente ad allargarsi, si aggiunge un altro divario che aggrava nel complesso la situazione, quello tra Italia ed Europa.

IL DOPPIO DIVARIO

Un doppio divario che indebolisce il Paese nel suo complesso. Dalla crisi economica che ha colpito profondamente l’Italia e la Ue, il Mezzogiorno ancora non si è risollevato. Il gap economico, sociale, tecnologico, culturale tra Nord e Sud del Paese si è ampliato penalizzando l’intero Paese. Insomma, la scarsa, o mancata, crescita del Mezzogiorno ha penalizzato la domanda interna con ripercussioni negative anche per le zone più ricche e industrializzate del Nord. Allo stesso tempo, la debolezza del “sistema paese” ha fatto sì che l’Italia diventasse il fanalino di coda tra i partner europei.

Scorrendo le tabelle del Rapporto Svimez si evince che tra il 2006 e il 2017 tutte le regioni italiane hanno registrato un calo del pil per abitante. Fatto 100 il pil per abitante della Ue, in Piemonte l’indicatore è sceso dal 118 del 2006 al 102 nel 2017, in Lombardia si è passati da 138 a 128. Guardando al Sud, la Campania è scasa da 72 a 62, in Calabria da 67 a 58. Cosa è successo nelle altre regioni europee? La regione di Berlino è passata da 110 nel 2006 a 118 nel 2017, la Inner London da 552 a 626. In Europa Orientale, Praha nella Repubblica Ceca è passata da 170 a 187. Insomma, le regioni più ricche degli altri Paesi hanno rafforzato la loro posizione e alcune regioni degli Stati membri dell’Est superano alcune regioni forti italiane.

Nel 2019 il Sud segna recessione, con il pil che si ferma secondo Svimez a -0,2%. Ma il resto del Paese non è in condizioni di gioire con un risicato +0,3%. Nella media il Paese crescerà dello 0,2%. Nel 2020 il Sud dovrebbe avere una debole ripresa con il pil a +0,2% e il Centro Nord a 0,7%.

GLI INVESTIMENTI

Qual è la principale causa di tutto questo? La Svimez non ha dubbi, il declino inarrestabile degli investimenti. La spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione al Sud è scesa, per quanto riguarda le risorse ordinarie, da 10,7 miliardi nel 2010 a 6,8 miliardi nel 2017 per calare ancora, secondo le stime, a 6,1 miliardi nel 2018. Le risorse “aggiuntive”, quelle delle politiche di coesione, sono scese da 11,6 miliardi nel 2010 a 3,6 miliardi nel 2017 e per il 2018 dovrebbero attestarsi a 4,2 miliardi.

Mentre al Sud andavano 6,1 miliardi di investimenti ordinari, al Centro Nord gli investimento hanno raggiunto 22,1 miliardi. Un dato, questo, che evidenzia l’urgenza di rendere cogente la clausola del 34% degli investimenti ordinari al Mezzogiorni corrispondente alla popolazione residente. Se fosse stata applicata nel 2018, al Sud sarebbero andati 3,5 miliardi di investimenti in più. Un passo avanti per il rispetto della clausola è stato fatto con il ddl di bilancio appena presentato in Senato. Nel testo è fissato l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di prevedere ex ante una quota di investimenti al Sud pari al 34%. Se questo diventerà realtà, nel 2020 Svimez prevede un effetto sul pil nel Mezzogiorno dello 0,8% che si posizionerebbe ai livelli di crescita del Centro Nord.

L’EMERGENZA

In Italia ormai l’occupazione rappresenta una «emergenza nazionale» come ha spiegato il presidente del Consiglio Conte, e si è allargato nell’ultimo decennio il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord, passato dal 19,6% al 21,6%. Significa che i posti di lavoro da creare al Sud affinché raggiunga i livelli del Centro Nord sono circa 3 milioni. Ma il primo semestre del 2019 non ha fatto registrare l’inversione di tendenza e il reddito di cittadinanza, con le politiche attive ad esso collegate, al momento ha avuto un effetto nullo sul lavoro.

C’è ancora un dato che indica la divergenza tra Nord e Sud del Paese e tra Italia e l’Europa: quello sull’occupazione femminile. Le laureate che lavorano nella media Ue sono state nel 2018 l’81,4%, in aumento rispetto all’80,2% del 2008.

In Italia si è registrata una timida crescita, dal 73,9% al 75,3% ma le differenze tra le aree del paese si fanno sentire. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione delle laureate nel 2018 è stato del 62,7%, addirittura in calo rispetto a dieci anni prima (era 65,4%) mentre nel Centro Nord è stato dell’80,1%, rispetto al 77,6% del 2008.


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