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Il palazzo della Regione Piemonte

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DALLE cime dell’Aspromonte, della Sila a quelle dell’Alta Susa. È da più di trent’anni che la ’Ndrangheta, organizzazione criminale calabrese, è entrata stabilmente nel tessuto connettivo del Piemonte, infiltrandosi a tutti i livelli. Fino a quello più importante, la politica. Non sarà un caso, allora, che Bardonecchia, rinomato centro per gli sport invernali, poco meno di 3.150 abitanti in provincia di Torino, risulta essere il primo Comune del Nord Italia, sciolto per mafia. È accaduto nel lontano 1995. Da allora le cose sono cambiate e si sono evolute ancora più velocemente e la ’Ndrangheta si è attestata come una forza malavitosa ormai di casa nella regione delle nocciole, del Barolo e della spesa pubblica fra le più alte della Nazione.

GLI ARRESTI

Non deve stupire, quindi, se nei giorni immediatamente prima del Santo Natale, la sede dell’ente regionale di Piazza Castello sia stata scossa dalle fondamenta, con l’arresto dell’assessore Roberto Rosso. L’operazione è stata portata a termine tra Torino e Carmagnola, otto in totale le misure di custodia cautelare eseguite. Per Rosso, finito in carcere, l’accusa è pesantissima, scambio politico-mafioso. Si sarebbe accordato con i clan per ottenere un pacchetto di voti ad affermarsi alle elezioni regionali dello scorso 26 maggio (vinte dal centrodestra). Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, all’ex assessore di Fratelli d’Italia (che Giorgia Meloni ha silurato, appena dopo aver appreso la notizia dell’arresto) sarebbero stati chiesti 15mila euro per un pacchetto di voti. Lui avrebbe pagato una prima tranche da 7.900. L’operazione che ha portato in cella Rosso, coordinata dalla Procura di Torino, coadiuvata da quella di Reggio Calabria, è avvenuta un giorno dopo il blitz dell’inchiesta Rinascita-Scott. Relativamente a queste indagini, il gip di Catanzaro, Barbara Saccà, ha emesso oltre 330 misure, che hanno scompaginato malavita, mondo politico e ambienti vicini alla massoneria. Nelle indagini sono coinvolti gli esponenti della famiglia Bonavota, locale di Sant’Onofrio (provincia di Vibo Valentia), che, è sottolineato nell’ordinanza di 1.263 pagine, «ha articolazioni stabili e radicate nel tempo in Piemonte». «Domenico, Nicola e Pasquale Bonavota insieme a Domenico Cugliari (classe 1959) – argomentano gli inquirenti – decidevano ed eseguivano attività estorsive, curavano gli interessi dell’organizzazione in Piemonte, si occupavano degli interessi del gruppo nel settore della panificazione e commercializzazione del pane, anche mediante imprese intestate a prestanome».

L’INDAGINE

E non solo, i Bonavota finiscono sotto la lente della Dda anche per gli interessi emersi in Veneto, soprattutto a Jesolo e a Caorle. Comune, quest’ultimo, che insieme a Eraclea, è stato interessato da indagini su presunte infiltrazioni della mafia calabrese e della camorra casalese, come sanno i lettori del nostro giornale. La base nel Settentrione, per i Bonavota, si evince sempre dalle inchieste, ultima quella Rinascita-Scott, è il Piemonte, «filiale» principale all’ombra della Mole Antonelliana. Qui era stato messo in piedi un altro locale di ’Ndrangheta, i cui affiliati «si occupavano personalmente, rendendone conto ai vertici dell’organizzazione, del reimpiego e del riciclaggio di denaro nonché della acquisizione o infiltrazione di attività commerciali e società (preferibilmente in condizioni di difficoltà o dissesto economico-finanziario), utilizzate anche al fine di rilevare in tutto o in parte ulteriori società o di creare occasioni di lavoro (reali o fittizie) per esponenti del sodalizio e consentire loro di acquisire potere decisionale di fatto all’interno di tali realtà imprenditoriali e disporre di risorse economiche indebitamente sottratte dai fondi delle aziende infiltrate», annota il giudice per le indagini preliminari Barbara Saccà. Le famiglie si erano trasferite dalla Calabria per controllare gli affari piemontesi. Va sottolineato un particolare non certo trascurabile: Domenico Cugliari, alias Micu i Mela, risulta residente a Carmagnola. È qui che sono state eseguite alcune delle otto misure, scattate nell’ambito della medesima operazione che ha portato in carcere l’ex assessore regionale Roberto Rosso. Micu i Mela viene indagato anche lo scorso marzo, l’inchiesta si chiama Carminius, e scompagina le cosche originarie di Sant’Onofrio da tempo radicate in Piemonte. Sigilli a beni per 45 milioni di euro, la famiglia Bonavota guidata da Cugliari è considerata dedita ad attività illecita in materia di «di armi, traffico di stupefacenti, riciclaggio e spendita di denaro falso». Il clan, sottolineano i magistrati, avrebbero acquisito «in modo diretto il controllo di attività economiche nel settore edilizio, della ristorazione, dei bar, dei trasporti e del commercio di automobili».

L’ASSALTO AGLI APPALTI

E non solo: si punta sempre alla politica, e al controllo degli appalti. Quelli che, dicono i riscontri investigativi, i Bonavota avrebbero acquisito dal Comune di Carmagnola. La Dda di Torino accende i riflettori sulle ’ndrine e sul tentativo di infiltrazione al Municipio. Quando si trovano davanti chi resiste, gli ’ndranghetisti fanno valere la forza dell’intimidazione. È il caso delle minacce e degli attentati incendiari ai danni di amministratori comunali, effettuati per impedire che venga approvato un regolamento maggiormente restrittivo sull’installazione delle slot machine (tra gli affari di punta dei Bonavota) nei locali pubblici. Ne fanno le spese, in particolare, un vicesindaco e un assessore del Comune di Carmagnola, ai quali vengono incendiate le auto. Tornando ai tentativi di infiltrazione, bisogna parlare anche di quelli riusciti. Oltre allo scioglimento del Consiglio comunale di Bardonecchia, si assisterà, nel corso degli anni, a quello di Leinì e Rivarolo Canavese (entrambi i centri si trovano in provincia di Torino). Nei casi specifici, sottolineano gli inquirenti, «il sostegno di propaganda elettorale garantito prima delle votazioni si era tradotto, in qualche caso, nell’aggiudicazione pilotata e indebita di commesse e appalti di servizi».

La capacità di infiltrazione nel tessuto sociale, politico ed economico (grazie alla notevole disponibilità di capitali) da parte delle famiglie malavitose di origine calabrese, «ha restituito segnali che testimoniano come le consorterie abbiano, in più occasioni puntato ad interessi nelle procedure di assegnazione delle grandi opere pubbliche». Opere finanziate con soldi pubblici che finiscono nelle casse delle mafie col risultato paradossale di arricchirle con la mano sinistra e di combatterle con la mano destra.


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