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La recrudescenza del Covid-19 in Italia è una notizia molto brutta. Che incornicia una triste temperie dell’economia mondiale. Per capire la pericolosità del Covid-19 basta guardare i due grafici di questa pagina. Il primo mostra il numero dei casi, il secondo il numero dei decessi, e ambedue mostrano un devastante primato di questo virus (il SARS-CoV29, che sta dietro la malattia Covid-19).

E quello che è ancora più preoccupante è che la SARS, ormai sparita dai radar delle epidemie, fece quel che fece in otto mesi (dal novembre 2002 al luglio 2003); la MERS iniziò nel 2012, e ora è strisciante, con qualche caso che affiora qua e là. Ma la Covid-19 in soli due mesi ha battuto tutti i record, di virulenza e di letalità.

Qualche anima ottimista mette in luce che il tasso di mortalità (al 3%) è molto inferiore a quello della SARS (8%) e della MERS (35%). Ma il 3% di 79mila è molto di più del 35% di 2.500; quello che conta è il numero dei morti. E il tasso di mortalità del virus attuale sembra crescere: all’inizio si parlava del 2%, ora gli ultimi dati lo danno al 3% e qualcosa (di quelli che si ammalano, uno su 33 muore). E non ci sono vaccini.

LA GRANDE PAURA

Gli effetti sull’economia partono dai servizi, turismo, spettacoli (dai cinema agli stadi), trasporti (specie aerei), ristorazione…

La gente non ha paura solo dei ristoranti cinesi, ma di tutti i luoghi affollati. Andate a vedere la Fontana di Trevi, normalmente formicolante di folla, e ora… Ma dai servizi gli effetti si allargano (come diceva Marco Aurelio, ben prima del Web, «tutto fa parte della grande ragnatela») all’industria e all’economia tutta.

Finché il virus non viene circoscritto la gente continuerà ad aver paura e a evitare di spendere in quegli «articoli di frivola utilità» che, come già scrisse Adam Smith, son quel che «tiene in moto perpetuo l’industria dell’uomo». E le imprese, rose anch’esse se non dalla paura dall’incertezza, certo ritardano i progetti di investimento, non sapendo quale sarà lo stato della domanda. Purtroppo, se la definizione tecnica di recessione è: due trimestri consecutivi di crescita negativa, un’altra recessione non la eviteremo.

No, questa volta non è colpa nostra, ma la consolazione è magra. Fuori d’Italia le cose volgono al peggio, la paura, attizzata da istinti atavici, fa portare in barca i remi della spesa. I valori di Borsa che fino a oggi sembravano ignorare i rischi, stanno crollando e aumentano le quotazioni dei beni rifugio, dal dollaro all’oro. Lo spread italiano è salito, anche se – consoliamoci – non a causa di un aumento dei nostri tassi ma di una diminuzione dei tassi sui Bund (confessiamolo: i BTp non sono un bene-rifugio).

Che cosa si può fare? Non molto, a parte quello che già si sta facendo con gli sforzi spasmodici per circoscrivere il virus. Bisognerebbe anche circoscrivere la disinformazione e affidarci agli esperti. Ma bisogna aver cura di scegliere bene gli esperti.

FAKE NEWS

Un esempio incredibile di disinformazione si è avuto negli ultimi giorni: la virologa Maria Rita Gismondo – responsabile del laboratorio dell’ospedale Sacco di Milano in cui vengono analizzati da giorni i campioni di possibili casi di coronavirus – ha detto (e la cosa è stata ampiamente ripresa dai giornali) a proposito delle drastiche misure che i governi, a livello centrale, regionale e comunale, hanno preso per contenere il virus: «A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così. Guardate i numeri».

E insiste, in un post su Facebook: «on è pandemia! Durante la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno! Per coronavirus 1! … questa follia farà molto male, soprattutto dal punto di vista economico».

L’unica cosa giusta che ha detto è che ci sarà un danno economico, ma, se uno risponde all’invito di guardare i numeri, si accorge della “fake news”. Il bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità, cui la Gismondo si riferisce, parla di 217 morti giornalieri (nella sesta settimana del 2020), per un totale settimanale, dunque, di 1.519. Ma quel numero di morti si riferisce agli ultra-65enni deceduti per qualsiasi causa, non solo per l’influenza. I morti per influenza sono stati 30, non 1.519. L’equivoco si può perdonare per un commentatore occasionale, ma quelle dichiarazioni sono imperdonabili per un esperto come la Sacco.

PREOCCUPAZIONI SERIE

Come si fa a dire che questa influenza da coronavirus è appena più seria di un’influenza normale? Una breve ricerca in proposito porta a questi risultati:
• A livello globale il tasso di mortalità è stimato al 5,9 per centomila (vedi un recentissimo e dettagliato studio (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/
articles/PMC6815659/).
• Per i soli Usa, il Center for Desease Control (CDC) ha una stima molto più elevata (133 per centomila), ma lo stesso CDC dà elementi che fanno pensare a una sovrastima (https://www.cdc.gov/flu/about/burden/how-cdc-estimates.htm).
• Per l’Italia la stagione influenzale ultima, 2018-2019 (https://www.epicentro.iss.it/influenza/FluNews18-19) rivela un tasso di mortalità da influenza del 2,5 per centomila. Più basso di quello globale, come si conviene a un Paese che è ai primissimi posti nel mondo per salute e longevità.
• Per il coronavirus cinese la mortalità finora accertata è del 3,1%, o 3100 per centomila.

Insomma, c’è in giro nel mondo un nuovo virus influenzale che è da decine a centinaia di volte più letale di quello dell’influenza normale, e per il quale, come detto sopra, non ci sono vaccini. I riflessi sull’economia mondiale e su quella italiana saranno pesanti. Nulla di quello che è stato fatto e nulla di quello che si sarebbe potuto fare altrimenti li avrebbe evitati. Quando imprese e famiglie sono preoccupate, non spendono.

Possiamo solo fare tutto il possibile, con una utilissima e giustificatissima paranoia, per accelerare il momento in cui il virus sarà contenuto. Più presto questo momento arriverà, minore sarà il danno alle economie.


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