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Mario Pagani (Cna)

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IMPRENDITORI scoraggiati dalla burocrazia che ha avviluppato anche uno strumento cui era stata affidata la missione di fornire un paracadute alle imprese vittime della catastrofe economica prodotta dal Covid-19. Guardinghi di fronte a un intervento che aggiunge debito a debito. Diffidenti nei confronti di un investimento calato in una situazione di incertezza, con disposizioni ancora poco chiare sulle misure che garantiscano il riavvio delle attività in sicurezza dopo il lockdown. Sono queste le ragioni che possono spiegare l’esiguo numero di richieste di finanziamenti fino a 25mila euro pervenute finora al Fondo di garanzia, a fronte di una platea potenziale di 4 milioni di imprese. Dal 17 marzo al 12 maggio sono state circa 150mila, per un valore di oltre 3,1 miliardi. Ed è ancora misterioso il dato sui fondi effettivamente erogati alle aziende.

LE PAURE

La ripartizione territoriale delle richieste – specchio del dinamismo del tessuto produttivo delle diverse regioni – “premia” la Lombardia, seguita dal Lazio e dall’Emilia Romagna. Per il Mezzogiorno, il maggior numero di domande è arrivato dalla Puglia. Seguono Campania, Sicilia, Calabria e Basilicata. Ben consapevoli delle perplessità degli imprenditori verso gli strumenti messi in campo dal governo per combattere la crisi, le associazioni di categoria non nascondono la sorpresa di fronte allo scarso appeal esercitato sui loro iscritti. «Molte domande sono ancora in viaggio, ma oggettivamente 150mila è un numero ridotto rispetto alla platea potenziale di 4 milioni di imprese», rileva Mario Pagani, responsabile credito della Cna. Per Pagani ad agire da freno è stata inizialmente la farraginosità della macchina: «Le disposizioni del Fondo – dice – sono uscite dopo Pasqua e bisogna tener conto anche la necessità per le banche di adattare i propri processi produttivi in un periodo non facile. Lo stesso vale per il Fondo, che non era strutturato per gestire una tale mole massiva di domande».

Ma, soprattutto, Pagani sottolinea che «i 25mila euro sono un nuovo debito per le imprese». «Per quanto ci riguarda – spiega – l’indicazione che diamo alle nostre imprese è quella di prestare attenzione, perché è vero che è uno strumento importante e che può essere incisivo, ma di fatto genera nuovo debito e va quindi affrontato con la dovuta consapevolezza, perché è vero che lo strumento consente 24 mesi di preammortamento, quindi si comincerà a ritornare la quota capitale solo fra due anni, ma intanto si gonfierà ulteriormente il passivo dell’impresa».

LO SCOGLIO BUROCRAZIA

C’è poi lo scoglio “burocrazia” da affrontare, «ingigantito – afferma l’esponente della Cna – dal fatto che le banche hanno comportamenti difformi. Mi è capitato di sentire un’impresa che deve fare tre pratiche con tre banche diverse e ognuna ha disposizioni differenti». Secondo Paolo Ferrè, presidente di Federascomfidi e membro della Giunta di Confcommercio incaricato per il credito, «da parte delle imprese c’è molta diffidenza anche perché a oggi, a fronte di un’apertura anticipata al 18 maggio, non ci sono ancora regole precise. Prendiamo un bar o un ristorante che ha fatto un business plan considerando di poter servire 20 persone e che ora ne può servire 5. E’ chiaro che prima di investire e chiedere quindi questi soldi, ci pensi bene. Anche perché questi soldi non sono regalati ma è debito che si aggiunge ad altri debiti che finora sono stati solo posticipati. C’è troppa incertezza. Anche noi ci aspettavamo da parte delle imprese, magari transitando attraverso le nostre associazioni di categoria e i nostri confidi, un flusso enorme di richieste che non sono arrivate.Quanto ai finanziamenti di fascia superiore, dai 25mila agli 800mila euro, siamo in alto mare».

E i numeri sembrano dargli ragione: secondo i dati del Mef le potenziali operazioni di finanziamento con “Garanzia Italia” in fase di istruttoria da parte delle banche sono circa 250, per un valore di 18,5 miliardi. Finora Sace ha emesso la garanzia per 6 richieste, per un valore di 40 milioni.


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