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La Commissione Bilancio della Camera

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I conti sono sbagliati. Oltre a non aver previsto difficoltà e lentezze nell’accesso al credito, i tecnici del Tesoro non hanno stimato che la rischiosità dei prestiti garantiti avrebbe reso necessario l’accantonamento di una grande quantità di risorse pubbliche per proteggersi dai rischi. Un flop dopo l’altro per il meccanismo dei prestiti garantiti dallo Stato.

Il decreto Rilancio, appena varato, si rivela già inadeguato. Sono stati stanziati 30 miliardi in più per le operazioni di liquidità più consistenti con garanzia statale tramite la Sace e 3,95 miliardi per il Fondo Pmi. Ma, secondo le stime, per questo Fondo potrebbero servire dai 5 ai 9 miliardi in relazione a uno scenario più prudenziale delle richieste per l’anno in corso o a uno di maggior flusso.

LE PAURE DIFFUSE

Dal 17 marzo al 18 maggio sono pervenute al Fondo di garanzia 268mila domande, relative ai decreti Cura Italia e Liquidità, di cui 237mila per operazioni fino a 25mila euro. I prestiti garantiti al 100% dallo Stato, entro questa soglia, sono quelli che presentano il maggior rischio e quindi richiedono accantonamenti a copertura, molto alti, superiori a quanto previsto inizialmente. Per 25mila euro si aggirano intorno ai 18mila euro, pari al 30%. Quindi 3,9miliardi previsti dal Decreto Rilancio per le Pmi, sono del tutto insufficienti.

Nonostante le difficoltà che il sistema bancario presenta nello smaltimento delle pratiche, le domande hanno subito un’accelerazione. Probabilmente influisce la sfiducia sui risultati a breve della riapertura. Le imprese stanno verificando che il mercato stenta a ripartire. I consumi sono al lumicino per un mix di paura verso le negative prospettive economiche e la mancanza di liquidità di ampie fasce della popolazione colpite da disoccupazione e cassa integrazione. Questa o stenta ad arrivare o è insufficiente a coprire i costi delle famiglie. La cartina tornasole di questa situazione sono le file davanti ai banchi dei pegni e l’aumento delle presenze ai mercati solidali della Caritas. I consumi fiacchi e le prospettive di bassi fatturati, stanno spingendo anche le imprese inizialmente più diffidenti, a fare la domanda per i prestiti garantiti.

Ogni giorno arrivano oltre 20mila domande e il Consiglio di gestione del Fondo, che si riunisce due volte a settimana, accantona circa 300 milioni di euro, proprio a copertura della rischiosità delle operazioni. Fino a 25mila euro l’istruttoria è più light. Inoltre, imprese che ora viaggiano sul filo del rasoio, potrebbero presto aggiungere al debito bancario altre esposizioni, se il mercato non torna a marciare.

Se il flusso delle domande al Fondo non supera quota 300mila, servono 4-5miliardi in più. Ma questa cifra potrebbe salire se il numero delle aziende, come è prevedibile, dovesse aumentare.

LE BANCHE

Intanto in Commissione Finanze della Camera continua la discussione sulle norme chieste dall’Abi da introdurre nel decreto Liquidità per accelerare l’erogazione dei prestiti. Il punto centrale è l’esonero delle banche dalle istruttorie. Attualmente gli istituti sono tenuti a verificare la solidità dell’impresa che si presenta allo sportello ed eventualmente a negare il prestito qualora emergessero estremi di criticità tali da ritenere difficile la restituzione, alla scadenza, di quanto erogato. L’autocertificazione dovrebbe essere estesa anche all’esonero dall’analisi del merito del credito.

Un’altra richiesta delle banche è di non essere coinvolte nel reato di concorso in bancarotta, qualora un’impresa, dopo aver ricevuto i prestiti garantiti, finisse in fallimento. Su questi due pilastri il dibattito politico è acceso e c’è il muro alzato dal M5S. Se questi due ostacoli fossero rimossi le procedure sarebbero più veloci.

LE DIFFICOLTÀ

Le imprese continuano a segnalare la difficoltà nell’avere la liquidità. Secondo un sondaggio condotto dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, ogni 100 richieste di prestiti, le banche ne accettano appena 6. Il 70% degli intervistati lamenta rallentamenti nella fase istruttoria che spesso si ingolfa per la richiesta di documentazione ulteriore rispetto a quella prevista dal decreto. Oltre la metà critica l’elevata disorganizzazione del sistema creditizio in generale, evidentemente non pronto con modulistica e procedure. C’è una parte minoritaria, ma comunque rilevante, che segnala la richiesta di apertura, da parte della banca, di un conto corrente (21,2%) o la proposta da parte dell’istituto di prodotti finanziari diversi da quelli previsti dai decreti Cura Italia e Liquidità (18,6%).

Tra le città dove si segnalano le situazioni di maggior lentezza, spicca Napoli: solo una impresa su dieci riesce a ottenere il prestito garantito.  Dalla Basilicata le associazioni delle imprese lanciano l’allarme: i ritardi nelle istruttorie rischiano di farci saltare. Il sistema imprenditoriale della Regione è composto per oltre il 90% di piccole e micro imprese, spesso sottocapitalizzate, con grande difficoltà di accesso al credito. Il tema della liquidità diventa quindi vitale. Un’altra richiesta avanzata da numerose aziende del Sud è che i prestiti siano erogati in aggiunta agli affidamenti in carico e non sostitutivi o compensativi di situazioni pregresse.

MODELLO GERMANIA

Numerosi imprenditori ora stanno puntando sui finanziamenti a fondo perduto per evitare di aggiungere il debito bancario a quelli già conseguiti con il lockdown. Il modello è quello della Germania dove governo federale e lander tedeschi hanno erogato alle realtà con meno di 15 addetti fino a 15mila euro a fondo perduto.

«Le nostre piccole e micro imprese sono da sempre fortemente indebitate e a corto di liquidità – osserva la Cgia – e nel 2019 registravano un indebitamento che non può essere aumentato, come invece suggerito dal decreto Liquidità. Quelle con meno di 5 addetti, per esempio, presentavano un’esposizione bancaria media (in bonis) di 115 mila euro per affidato. Un importo che, se aumentato, rischia di rendere insolvibili moltissime attività».


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