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Anche la sanità penalizzata per lo scippo al Sud

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C’è quel 0,15% che dovrebbe essere cancellato e invece il tentativo è ancora quello di sottrarre soldi al Sud: dai finanziamenti per l’emergenza Covid che stanno finendo quasi esclusivamente nelle casse delle più grandi aziende del Nord, alla ridistribuzione e reimpiego dei Fondi coesione per pagare la Cig al Nord.

C’è un’Italia che dovrebbe ripartire e rapidamente, dovrebbe farlo guardando allo sviluppo del Sud e invece proseguono gli scippi. Servirebbe una manovra che prenda le mosse da un punto fermo: ridare al Sud quello che gli è stato sottratto negli ultimi 20 anni.

FARE GIUSTIZIA

Per risollevare il Paese servirebbe un atto politico che rimetta le cose a posto, rendendo “giustizia” a un Mezzogiorno rimasto senza investimenti.
All’Italia intera servirebbe correggere questa stortura, riportare gli investimenti per lo sviluppo del Mezzogiorno lontano da quello 0,15% del Pil (dati dei Conti pubblici territoriali) a cui sono ancorati oggi.

Occorre riequilibrare la spesa pubblica che toglie ai poveri (il Sud) per dare ai ricchi (il Nord): basti pensare ai 62 miliardi dirottati verso le Regioni del Centro-Nord Italia.

E se la cifra di 62 miliardi di euro riesce a inquietarvi, beh, pensate che la situazione è addirittura peggiorata: tra il 2016 e il 2017, infatti, il Mezzogiorno ha perso quasi un altro miliardo di euro l’anno.

IL DECLINO

Insomma, serve una manovra finalmente equa, che ridia ai cittadini del Sud la stessa qualità di servizi di cui gode chi vive al Nord. Perché è facile immaginare cosa voglia dire, ad esempio, 62 miliardi in meno: sanità meno efficiente, meno treni, meno bus, meno asili, scuole più insicure. In breve: meno diritti e opportunità.

Al Mezzogiorno servono strade e ferrovie moderne. Ma non sulla carta, non solo sui progetti annunciati. La sintesi del declino della spesa infrastrutturale in Italia, e al Sud in particolare, sta nel tasso medio annuo di variazione nel periodo 1970-2018, pari a -2% a livello nazionale: -4,6% al Sud e -0,9% nel Centro-Nord.

Gli investimenti infrastrutturali nel Sud negli anni ’70 erano quasi la metà di quelli globali, mentre negli anni più recenti sono calati a quasi un sesto del totale nazionale. In valori pro capite, nel 1970 erano pari a 531,1 euro a livello nazionale, con il Centro-Nord a 451,5 e il Mezzogiorno a 677 euro.

Nel 2017 si è passati a 217,6 euro pro capite a livello nazionale, con il Centro-Nord a 277,6 e il Mezzogiorno a 102 euro. La conseguenza è che nel ranking regionale infrastrutturale della Ue a 28, la regione del Mezzogiorno più “competitiva” è la Campania, a metà graduatoria (134ª su 263), seguita da Abruzzo (161°), Molise (163°), Puglia (171ª), Calabria (194ª), Basilicata (201ª), Sicilia (207ª) e Sardegna (225ª). Basterebbe questa graduatoria a raccontare il gap infrastrutturale che il Sud ha accumulato negli anni non solo rispetto al Nord, ma nei confronti del resto d’Europa.

IL DISIMPEGNO

Al Sud, a parte la realizzazione di alcune tratte autostradali con terze corsie e l’adeguamento della Salerno-Reggio Calabria, l’incremento di autostrade è stato molto limitato e si è concentrato tutto o quasi in Sicilia.

«Il segnale del disimpegno degli investimenti pubblici in questo ambito – recita l’ultimo rapporto Svimez – sta nel peggioramento della dotazione relativa di autostrade nel Mezzogiorno. Rispetto alla media europea a 15 (posta uguale a 100), la dotazione di autostrade del Sud è passata dal 1990 al 2015 da 105,2 a 80,7».

Per quel che riguarda la dotazione di linee ferroviarie, molto carente al Sud è lo sviluppo dell’Alta Velocità (AV), con soli 181 chilometri di linee, pari all’11,4% dei 1.583 chilometri della rete nazionale; nel Centro-Nord la rete è di 1.402 chilometri, pari all’88,6% del totale. Nel confronto con la Ue (rete AV ponderata sulla popolazione dei soli Stati membri dotati), l’indice di dotazione dell’Italia nel 2015 è pari a 116, con il Centro-Nord a 156,5 e il Mezzogiorno appena a 38,6.

D’altronde basta guardare la cartina delle direttrici dell’Alta velocità – esistenti o ancora da realizzare – per accorgersi che l’Italia delle ferrovie – non solo quella, per carità- è spaccata in due: su tutta la linea adriatica, da Bari sino a Bologna, c’è il vuoto, così come dalla Puglia alla Sicilia. Mentre al Nord è fitta la “ragnatela” di linee che si intrecciano e uniscono ogni angolo dell’Italia settentrionale.

OCCASIONI PERSE

Se al Sud c’è solo il 16% dell’Alta velocità è merito di decenni di mancati investimenti. Si spiega così il fatto che le linee sono elettrificate per l’80% al Nord e per il 50% al Sud; oppure che al Sud circolano meno treni che nella sola Lombardia.

I porti del Mezzogiorno, pur vantando numero e lunghezza degli accosti nettamente superiori a quelli del Centro-Nord, presentano una dotazione estremamente modesta, con un indice sintetico pari a 58,9, dovuto alla forte carenza di capacità di movimentazione e stoccaggio delle merci. Relativamente migliore risulta l’indice sintetico degli aeroporti (69,4), ma anche in questo comparto si scontano carenze qualitative dell’offerta (distanza dai centri urbani, aree di parcheggio aeromobili e superficie delle piste).


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