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Al termine del lockdown, lo scenario italiano è devastante, e rischia di diventare ancora più buio al termine dell’estate quando, a settembre, le ricadute della crisi provocata dal Covid 19 si materializzeranno più plasticamente sull’economia, sull’occupazione, sul sistema imprenditoriale e finanziario. Negozi e ristoranti ancora chiusi, e sono tanti quelli che non riapriranno. Cantieri fermi. Lavoratori a casa e le ore di cassa integrazione che ad aprile sono state quasi pari a quelle autorizzate in tutto il 2009, l’anno terribile della crisi economica e finanziaria dello scorso decennio. Insomma, un Paese sull’orlo del crack.

L’ultima analisi del Cerved Rating Agency considera il 15,5% delle imprese italiane a rischio default nel caso di una nuova ondata del virus. A registrare l’impatto più violento sarebbero le costruzioni, dove a rischiare è il 22 per cento delle aziende -quasi una su quattro -, il 19,1% per hotel e ristorazione, il 18,9% nei servizi turistici. La probabilità di un default è considerata in forte crescita in tutta la Penisola, con un picco del 17,8% nel Mezzogiorno (dal 9,3%).

COMMERCIO E SERVIZI

Nel settore del commercio e dei servizi, sono 270mila le imprese che rischiano di sparire definitivamente dal mercato. Un dato che potrebbe anche peggiorare perché, oltre agli effetti economici del lockdown, bisogna considerare anche il rischio dell’azzeramento dei ricavi a causa dell’assenza di domanda e dell’elevata incidenza dei costi fissi sui quelli totali di esercizio che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%. Secondo un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio, su un totale di oltre 2,7 milioni di imprese del commercio al dettaglio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi, quasi il 10% potrebbe non riaprire più.

Tra i settori più colpiti troviamo i negozi di abbigliamento, gli ambulanti, gli alberghi, i bar e i ristoranti, le imprese legate alle attività di intrattenimento e alla cura della persona, come parrucchieri ed estetisti.

Le perdite più consistenti potrebbero registrarsi tra le professioni (-49 mila attività) e nella ristorazione (-45 mila imprese). A pagare il conto più salato alla crisi sono le microimprese, quelle con un solo addetto e senza dipendenti, per le quali sarebbe fatale anche una riduzione dei ricavi del solo 10 %.

TURISMO

Federalberghi ha rilevato a marzo un vistoso tracollo delle presenze negli esercizi ricettivi (-92,3% per gli stranieri e -85,9% per gli italiani), con un stop totale in aprile (-99,1% per gli stranieri e -96,4% per gli italiani), che ha comportato la perdita di circa 106 mila posti di lavoro stagionali. Se si allarga il campo all’intero settore turismo, i posti di lavoro stagionali a rischio per l’estate 2020 sono quasi 500mila. E una volta terminata la cassa integrazione, la crisi coinvolgerà anche i lavoratori contratti a tempo indeterminato. Secondo le previsioni, verranno meno oltre 305 milioni di presenze (-71,2% rispetto al 2018), con un calo di fatturato del settore ricettivo pari a quasi 17 miliardi di euro (-71,4%).

Lo scenario tracciato da Enit – Agenzia nazionale turismo conferma l’impatto significativo che la pandemia di Coronavirus avrà sul turismo italiano, con la previsione di una riduzione dei visitatori, tra nazionali e stranieri, del 41% nel 2020 rispetto all’anno precedente, ovvero 47 milioni in meno. Si stima, poi, una riduzione dei pernottamenti turistici totali pari a 154 milioni che in termini di spesa turistica totale costa 65 miliardi di euro.

AUTOMOTIVE

Sulla filiera dell’automotive, secondo i dati dell’Anfia, l’impatto del Covid-19 si traduce in un calo del 55,8 per cento nella produzione di marzo rispetto allo stesso periodo del 2019, che fa chiudere il primo trimestre 2020 a -21,6%.

Anche la produzione di parti e accessori per autoveicoli risulta in flessione del 48,7% nel mese e chiude il trimestre a -20,4%.

Se a gennaio gli ordinativi per l’industria automotive erano in crescita (+9,2%), già febbraio si registrava un calo del 7,2%, che per l’estero arrivava al -7,8%). Secondo i dati preliminari di Anfia, a marzo 2020 la produzione domestica di autovetture in Italia subisce a una pesante flessione pari al 64%, chiudendo il trimestre a -27%.

Rispetto allo scorso anno – quando tra tra gennaio e aprile sono stati prodotti 330.000 autoveicoli – la perdita nel primo quadrimestre 2020 è stimata in 150.000 unità.

La ripresa si prospetta lenta, e comunque con tempi più lunghi rispetto alla crisi precedente del 2008-2009. Anche perché l’attuale tracollo si innesta nel contesto di una filiera in difficoltà già prima delle misure emergenziali: marzo è stato il 21esimo mese consecutivo in calo per la produzione automotive italiana.

La chiusura degli stabilimenti combinata con lo stop ai consumi per il lockdown ha quasi azzerato il mercato italiano dell’auto (-85,4% a marzo e -97,5% ad aprile). E a fine 2020 potrebbe perdere tra le 500 e le 600.000 autovetture.

COSTRUZIONI

Se lo scenario del Cerved vede a rischio chiusura un’impresa su quattro nel settore delle costruzioni, le stime del Cresme sull’impatto del Covid sugli investimenti nel settore non confortano, dal momento che per il 2020 prevedono un crollo tra -15 e il -23%. Per l’anno in corso, l’impatto sull’attività edilizia coinvolgerebbe in egual misura sia il comparto residenziale sia quello non residenziale privato, con maggiore intensità, almeno nello scenario base, per l’attività di riqualificazione del patrimonio esistente. Gli investimenti in nuova edilizia potrebbero infatti ridursi di circa il -16%, che diventerebbe -29% nello scenario peggiorativo; mentre per la manutenzione straordinaria il crollo atteso è del -22% nel 2020 (sia in ambito abitativo che non residenziale), che diventerebbe -29% nel caso di un secondo lockdown. Per le opere pubbliche il Cresme, per il 2020, a novembre 2019 aveva previsto una crescita del +4,5%, ridimensionato drasticamente alla luce della crisi, con uno scenario base che vede investimenti in crescita di appena 0,9%, mentre in quello peggiore ipotizza un crollo del -5,7%.


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