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I governatori Zaia (Veneto) e Fontana (Lombardia)

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Prima smentito, poi negato, quindi derubricato come una delle tante fake news, eccolo il documento che doveva servire a convincere i governatori leghisti a digerire il Mes. Fondi Ue che non sono ancora arrivati. Che non si sa se mai arriveranno, ma che nel frattempo qualcuno ha pensato bene di ripartire ad esclusivo vantaggio di alcune regioni. Le solite.

La cartina dell’Italia e su ogni regione i numeri della quota spettante. In totale 37 miliardi, il fondo Salva-Stati che la Merkel “ci prega di accettare”. Alla Lombardia e al Veneto ne andrebbero più di 9. Un buon motivo per vincere le resistenze del Carroccio e passare all’incasso. Checché ne pensi Matteo Salvini e con buona pace dei 5Stelle da sempre contrari al Mes. A rimetterci come al solito sarebbe il Sud, che di quei fondi ha un disperato bisogno per ridurre il gap con le regioni più ricche.

La tabella con la ripartizione delle risorse circola da un paio di settimane, anche se solo tra addetti ai lavori. Alcuni governatori la citano, altri la danno per scontata. Altri ancora ne parlano espressamente nelle dichiarazioni ufficiali. Cifre dettate alla lettera, virgole, decimali, zeri. Ufficialmente però non esiste. Governo e ministero della Salute hanno continuato fino a ieri a negarne l’esistenza. “E’ una simulazione del Corriere della Sera, nulla di ufficiale, non c’è nulla da commentare”, glissavano sottovoce i ministri interessati,con riferimento al giornale che per primo aveva fatto filtrare le indiscrezioni.

La spesa sanitaria è a carico delle regioni, la principale voce di spesa, quasi il 90% del bilancio. In quest’ultimo mese sia Attilio Fontana che Luca Zaia sulla questione del Mes si sono mostrati allineati e prudenti. Accettandolo, le loro due regioni, insieme, incasserebbero un quarto di tutta la torta, il 16,64% la Lombardia, l’8,14% il Veneto. Bel colpo, non c’è che dire.

La tabella è stata commissionata ad esperti da esponenti dem. Frutto di un puro calcolo matematico – “risorse 2020” – stampata per circolare in ambito regionale. Nella conferenza Stato- Regioni il tema è stato affrontato cercando di non mettere troppo in imbarazzo il ministro agli Affari regionali Francesco Boccia. Qualcuno, si racconta, gliel’avrebbe sventolava sotto il naso. “Il sistema sanitario da rifondare è quello del Sud”, è stato ricordato al ministro”. “E’ tutto ancora da decidere, sono dati puramente indicativi, non tengono conto dell’eventuale quota che finirebbe allo Stato centrale”, avrebbe risposto Boccia. Tesi che in ogni caso non cancella l’ennesima iniquità che si voleva perpetrare.

Alla Lombardia, che prima del Codiv era considerata una eccellenza sanitaria nazionale, andrebbero 6 miliardi e 158 milioni. Più risorse di quante ne spetterebbero a Puglia, Calabria, Basilicata, Marche, Umbria e Molise messe insieme (leggi tab.) . A parità di popolazione le regioni del nord ricevono più fondi. Vedi Puglia, se raffrontata a Piemonte o all’Emilia-Romagna.

I criteri adottati dalla “mano” che ha suggerito la ripartizione del Mes sono gli stessi che nel corso degli anni hanno determinato la sperequazione. Con una media pro capite di 44,4 euro investiti in spesa sanitaria, al Nord va il 76,7% , il Sud è fermo al 24,7%. I fondi Ue potrebbero dunque essere l’occasione per ridurre questo gap, l’unico distanziamento che di salutare ha ben poco. La causa delle migrazioni sanitarie di calabresi e pugliesi, a beneficio di una sanità che al Nord crea profitti per i privati e nel Mezzogiorno “buchi”di bilancio agli enti locali.

Le risorse del Piano di rilancio europeo (Eu4health) dovrebbero andare di rigore a chi in caso di una nuova ondata di contagi andrebbe in difficoltà. Per dotarsi di strutture, terapie intensive, dispositivi di protezione e quant’altro. Se ne deduce che l’unica ripartizione possibile non sia matematica. Né possa tradursi in un algoritmo ma debba partire da una analisi particolareggiata dei territori. E indovinate dov’è che lo Stato ha sforbiciato, tagliato e ridotto al minimo gli investimenti?

Negli ultimi vent’anni – su questo giornale è stato già documentato – sono stati investiti nel settore sanitario 16 euro l’anno pro-capite in Calabria e 84 in Emilia-Romagna. Dal 2000 al 2018 sono stati investiti in spese sanitarie 47 miliardi così distribuiti: 27,4 al Nord; 11,5 al Centro e 10,5 al Sud (fonte: Conti pubblici territoriali).

Dinanzi all’opportunità del Mes – e considerando l’arretratezza e le carenze strutturali del sistema sanitario meridionale – l’idea che qualcuno possa pensare di rinunciare al prestito Ue diventa persino incomprensibile. Un rifiuto che in futuro potrebbe diventare un atto sdi accusa.

E i governatori? Zaia ha lanciato – ovviamente – segnali di apertura, mentre al Sud l’unica voce che si è fatta sentire finora è quella del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Ha definito la ripartizione dei fondi “un’ipotesi vergognosa, la Campania è penalizzata al di là di ogni limite”.

In realtà, sembrerebbe che anche il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano abbia fatto sentire la sua voce alzando e di molti i toni. Si è passati dal considerare quelle tabelle “poco più di una simulazione”, alla preoccupazione che qualcuno spingesse per far passare quel criterio di ripartizione. Fissando un paletto, “la clausola minima del 34%”. Ed è proprio su questo lo scontro.

Mai come in questa emergenza Covid sono venute fuori tutte le carenze del Mezzogiorno che è riuscito finora a contenere il coronavirus. Un altro scippo dopo essere riusciti a contenere l’epidemia avrebbe il sapore di uno sberleffo.


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