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La presidente Ursula Von Der Leyen

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Non saranno Eurobond nel senso letterale del termine, ma il risultato della maratona negoziale tra capi di Stato e di governo dell’UE per il meccanismo di ripresa e il bilancio pluriennale dell’UE non è molto distante. Perché alla fine, all’atto pratico, per finanziare la ripartenza economica dopo il confinamento imposto dalla pandemia di COVID-19 saranno emessi titoli comuni europei sui mercati, titoli di debito comune. Una rivoluzione copernicana, impensabile fino a poche settimane fa, che segna uno spartiacque nella storia del progetto comune.

DEBITO SOVRANO

Uno dei motivi per cui i cosiddetti frugali – Austria, Danimarca, Svezia e Paessi Bassi – hanno fino all’ultimo frenato il negoziato era per la paura di aprire la stagione della condivisione del debito sovrano.

Una preoccupazione soprattutto degli olandesi, da sempre contrari a un’idea di questo tipo. Il primo ministro olandese Mark Rutte ha chiesto e ottenuto che fosse precisato per bene la natura temporanea del meccanismo per la ripresa, che infatti da accordi sarà attivo fino al 2023. Dunque l’emissione di titoli comuni resteranno un’ipotesi isolata. Almeno secondo i piani dell’Aja.

Paolo Gentiloni lascia filtrare che in realtà quello appena raggiunto sia un accordo che, in prospettiva, può essere destinato a fare dei titoli comuni una pratica per il futuro. Si parte con l’intesa appena raggiunta, secondo cui, sottolinea il commissario per l’Economia, “la Commissione raccoglierà centinaia di miliardi di euro sul mercato per distribuirli sotto forma di sovvenzioni e prestiti agli Stati membri”.

Di per sé “questo è veramente qualcosa che cambia la prospettiva della nostra solidarietà nell’Unione”. Se questo meccanismo “è qualcosa di straordinario e legato all’emergenza che stiamo affrontando” secondo l’accordo sottoscritto dai leader, “per il futuro, se questo tipo di solidarietà funziona e questa emissione sui mercati dà i suoi frutti, penso che potrà essere un’esperienza da ripetere”.

CHI NON HA L’EURO

Si inaugura dunque la stagione degli Eurobond, anche se così non si possono chiamare. Innanzitutto per una ragione insita nel nome, legato al progetto di titoli comuni dell’area dell’euro. Ci sono Stati membri dell’Ue (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Svezia, Ungheria) che ancora non adottano la moneta unica, e addirittura da accordi sottoscritti all’epoca con il governo di Copenhagen la Danimarca è esentata dall’adozione dell’euro. Per questo motivo il termine ‘Eurobond’ non è appropriato.

Poi c’è la questione politica. Parlare di ‘Eurobond’ per alcuni governi, primo fra tutti quello olandese, è tabù. Va detto che una buona fetta del centro-destra tedesco non ha mai visto di buon occhio l’ipotesi di condividere il debito. L’assunto di base, è semplice da spiegare: si teme di dover usare denaro dei contribuenti per ripianare i conti pubblici di altri Stati. Detto ancora più semplicemente: c’è una parte delle opinioni pubbliche tedesca e olandese – ma non solo queste – che teme che i loro soldi vengano usati per ripianare i dissesti di Paesi come l’Italia, che molto si è spesa per l’introduzione degli Eurobond.

E’ questo timore diffuso ad aver frenato fin qui un progetto su cui si era già iniziato a ragionare. Il Coronavirus e la crisi che né derivata hanno soltanto accelerato un processo già in atto, amplificandone la portata tutti gli Stati membri e non solo a quelli con in uso la moneta ufficiale dell’Unione europea. Che li si chiami “Eurobond”, “Coronabond” o anche semplicemente “titoli comuni” cambia poco, è solo una questione di lunguaggio e terminologia. Al di là di questi aspetti non c’è dubbio che si è aperta una nuova fase.

Nel sottolineare che l’emissione di titoli comuni potrà essere un’esperienza da ripetere per il futuro si appresta a chiarire che “non è questo l’oggetto della decisione di oggi”, perché i leader non hanno dato il via libera all’era della mutualizzazione del debito. Ma certo la strada adesso viene tracciata, e Gentiloni non lo nasconde. “L’accordo è straordinario”, proprio perché crea un precedente che potrebbe non rimanere isolato e che, come ha fatto trapelare Gentiloni, in Commissione già si considera invece come uno strumento con cui dotare l’Unione europea del futuro.

Il risultato dunque è una buona notizia innanzitutto per l’Italia. Giuseppe Conte prosegue un percorso iniziato con precedenti governi, che nell’emissione di titoli comuni hanno un filo rosso, una continuità politica che trova nell’intesa trovata dai leader con la maratona negoziale sul meccanismo per la ripresa un punto di arrivo. Che potrebbe essere in realtà un punto di partenza.

L’EMERGENZA

Senza contare che l’accordo appena concluso tra i Ventisette si basa sull’assunto che va legato alla crisi attuale, legata all’ondata di Coronavirus vissuta ovunque in Europa. Non si considera dunque una seconda ondata, nonostante in molti abbiano messo in guardia circa la possibilità. Nella sventurata ipotesi che l’avvertimento trovi riscontro già nel prossimo autunno, potrebbe rendersi necessaria una nuova riflessione su come rispondere ad un aggravamento della recessione già in atto.


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