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Le imprese hanno tempo fino al 31 dicembre per chiedere i prestiti garantiti dallo Stato. I termini per le moratorie sui mutui sono stati invece prorogati dal decreto Agosto al 31 gennaio 2021. Questi due strumenti fondamentali per il sostegno verranno meno proprio quando le aziende saranno impegnato nello slancio della ripresa dopo la fase più acuta della pandemia.

Mentre immediatamente dopo il lockdown, alla base della richiesta di credito c’era soprattutto le necessità di rimpinguare le casse per far fronte ai debiti contratti nel periodo di blocco, nei mesi successivi è cambiato lo scenario e le aziende hanno cominciato a ragionare su come affrontare l’autunno e hanno fatto ripartire gli ordinativi.

L’accesso al credito in modo agevolato, diventa quindi un meccanismo essenziale per ricominciare a correre. La Banca d’Italia ha rilevato che a fine giugno l’erogazione dei prestiti alle imprese ha segnato un incremento del 3,7 % rispetto allo stesso periodo del 2019, in aumento rispetto al +1,9% di maggio 2020.

LE NORME SUGLI AIUTI

Con la fine dei prestiti garantiti si tornerebbe al vecchio sistema dei rapporti tra banche e imprese, con il rischio anche di una stretta nella concessione dei crediti. Verrebbe a mancare l’ossigeno in un momento delicato per il sistema produttivo.

E’ un problema che non riguarda solo l’Italia. Francia e Spagna hanno introdotto garanzie pubbliche simili, mentre in Germania (nonostante una campagna mediatica che enfatizzava la facilità e l’immediatezza nell’erogazione dei finanziamenti) sono rimasti diversi vincoli che hanno rallentato le richieste.

Proprio a fronte di questa situazione, e con il pressing dei Paesi Ue, la Commissione europea sta valutando di prolungare la sospensione delle norme sugli aiuti pubblici. Interrompere il sostegno statale in un momento in cui il sistema imprenditoriale si sta rimettendo in moto, potrebbe bloccare la ripresa con effetti a cascata su tutta l’economia europea. Il contagio continua a macchia di leopardo, con sviluppi imprevedibili, e chiudere i rubinetti dei sostegni pubblici sarebbe un danno.
Tra fine settembre e inizio ottobre, la Commissione conta di aprire un tavolo di lavoro per prorogare le misure di accesso agevolato al credito con garanzie pubbliche, in modo da arrivare alla decisione per fine anno.

I MUTUI

Per le moratorie sui mutui, introdotte dal decreto Cura Italia, finora sono state presentate 2,7 milioni di richieste per un controvalore che sfiora i 300 miliardi di euro. Le operazioni sono portate avanti soprattutto dalle piccole e medie imprese. La moratoria termina il 31 gennaio 2021, quindi a partire da febbraio le imprese dovranno ricominciare a pagare e, se il finanziamento è scaduto, dovranno versare una tantum l’intero importo oggetto di moratoria.

Non è però affatto sicuro che entro quella scadenza le aziende abbiano superato la situazione di difficoltà e possano disporre della liquidità necessaria.
Dal 1° gennaio, però, entreranno in vigore criteri più rigidi sui crediti deteriorati. Per molte aziende sarà una tagliola. C’è il rischio anche che lo stock di Npl, (i non performing loans), i crediti che le banche hanno in pancia e non riescono a recuperare, salga in modo esponenziale, mettendo in difficoltà il sistema bancario. Secondo le più recenti stime del Fondo monetario internazionale, l’ammontare dei crediti deteriorati presso gli istituti italiani avrebbe raggiunto i 350 miliardi. Tant’è che l’Abi aveva chiesto 12 mesi in più al governo (e non solo quattro). Ora si attende la conversione del provvedimento ed è probabile che la moratoria venga estesa, magari circoscritta ad alcuni settori.

Secondo l’Outlook ABI-Cerved i tassi di deterioramento dei prestiti concessi alle imprese italiane tenderanno a crescere per effetto del Covid nel prossimo biennio, raggiungendo un livello intorno al 4% nel 2021, per poi calare nuovamente nel 2022. 

LE PREVISIONI

Nonostante la crisi, il fisiologico aumento della rischiosità sarà molto inferiore a quanto sperimentato in passato. I nuovi crediti in default, infatti, si manterranno su livelli distanti rispetto ai picchi raggiunti nel 2012, con incrementi che interesseranno maggiormente le aziende di piccola e media dimensione e le imprese dell’edilizia e dei servizi. E questo anche nel caso di una nuova ondata di contagi in autunno. 

Nel rapporto Cerved si dice che i tassi di deterioramento delle società non finanziarie, cioè la quota di crediti in bonis passati allo status di deteriorati, sono scesi anche nel primo trimestre del 2020, collocandosi al 2,9% (dal 3,1% del primo trimestre 2019), allontanandosi sempre di più dai picchi raggiunti nel pieno della crisi economica (7,5% a fine 2012) e toccando un minimo in tutta la serie storica osservata. 

Questa lunga fase di miglioramento è stata temporaneamente interrotta a causa degli effetti negativi sull’economia determinati dall’emergenza sanitaria, ma la ricaduta sui tassi di deterioramento del credito sarà contenuta, anche grazie agli interventi di moratoria e di sostegno alla liquidità delle imprese varati dal governo.


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