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Personale medico con i dispositivi di protezione dal Covid

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C’è chi ha pagato le tute per gli infermieri e per i medici 27,90 euro l’una contro un prezzo medio di circa la metà. Un paio di occhiali 12,25 euro quando si potevano avere anche a 1,40 euro l’uno. E così per ventilatori polmonari, mascherine, schermi, copri calze, guanti e camici. Il range varia da regione a regione, da un’azienda sanitaria all’altra, persino da ospedale a ospedale, distanti in alcuni casi tra loro solo pochi chilometri.

L’INDAGINE

È il prezzo da pagare alla sanità regionale, una moltitudine di centrali appaltanti scollegate e spesso in concorrenza tra loro. Lo rivela una volta di più e in modo impietoso – ma staremmo per dire scandaloso – l’indagine conoscitiva sugli affidamenti connessi all’epidemia da coronavirus dell’Anac.

L’Autorità nazionale italiana anticorruzione ha tradotto in moneta sonante i costi dell’emergenza prendendo in considerazione il periodo di picco del fenomeno, fra marzo e aprile 2020. Un documento che alcune procure stanno già valutando. Non si escludono, sin dai prossimi giorni, le prime ispezioni.

In Lombardia, dove un’inchiesta ha coinvolto il presidente della Regione Attilio Fontana proprio per un lotto di camici prodotto dall’azienda per il 90% del cognato e per il 10% della moglie, il prezzo dello stesso prodotto può essere, a seconda dei casi, superiore del 300%.

L’urgenza ha causato un aumento indiscriminato dei prezzi. Basti dire che in meno di due mesi il Covid-19 ci è costato 5,8 miliardi di euro. A far impennare la spesa non è stata solo la ricerca spasmodica dei dispositivi medici, alcuni difficilmente reperibili sul mercato in quei giorni, ma anche la quantità di stazioni appaltanti.
Meno offerta, più richiesta, prezzo che lievita. È la legge del mercato. Non a caso l’unico elemento a far da calmieratore è stato quello a disposizione del Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento dell’emergenza: la stazione centralizzata.

Domenico Arcuri ha gestito procedure per un valore pari al 35% della spesa nazionale. Sommato all’importo degli acquisti gestiti dalla Protezione civile (circa 320 mila euro) si arriva al 41%. Per fermare gli speculatori c’è voluto prima l’intervento del commissario e quello della Consip. Una lezione per il futuro.

LO STRAVOLGIMENTO DEL MERCATO

L’indagine dell’Autorità guidata dal presidente Francesco Merloni è stata condotta inviando schede di riscontro a 182 stazioni appaltanti. Il 10 per cento circa non ha risposto ma il quadro che ne esce è comunque molto attendibile.

Per accelerare l’approvvigionamento dei dispositivi più urgenti ci si è avvalsi delle semplificazioni e delle deroghe concesse dal dl n° 18 del 17 marzo scorso, giacché con le procedure ordinarie si sarebbe allungati a dismisura i tempi.

Questo ha comportato però uno stravolgimento del mercato, in particolare per accaparrarsi le mascherine protettive. Basti dire che il prezzo unitario delle ffp2 va dai 2,20 euro pagati dalla Protezione civile ai 7,50 della Regione Lazio.

L’emergenza non ha inciso soltanto sui costi ma anche sulla qualità delle forniture. In molti casi il termine contrattualizzato per la consegna non è stato rispettato, in modo particolare per quanto riguarda la fornitura di tamponi e reagenti, ventilatori polmonari, ossigeno e disinfettanti.

Va da sé che in questo caso il ritardo non ha inciso solo sui costi, ma anche in termini di vite umane. La frammentazione degli ordini ha fatto il resto. Non a caso il presidente dell’Autorità, Merloni, in scadenza a metà settembre, in più occasioni, ancor prima che scattasse l’emergenza, ha evidenziato come nel nostro Paese ci siano ancora 37 mila stazioni appaltanti: un dato che risulta in assoluta controtendenza rispetto ad altri Paesi come Francia, Germania e Spagna, dove i Comuni e gli enti locali tendono ad associarsi.

LE 37 MILA STAZIONI APPALTANTI

L’incongruità dei costi è appunto l’altro capitolo tutto da scrivere, sempre che prima non se ne occupi la magistratura. Anche perché in un 5% dei casi le aziende aggiudicatrici non sono risultate in possesso dei minimi requisiti richiesti. ma solo in 7 casi su 311 si è sviluppato con le amministrazioni un contenzioso legale per “grave inadempimento”.

«In molti casi – si legge nella relazione che accompagna l’indagine conoscitiva – nel corso dell’emergenza si è verificata l’esigenza sanitaria di aumentare i volumi delle forniture con conseguente modifica contrattuale. E non mancano casi di procedure andate deserte, affidamenti revocati, annullamenti di ordini per provata inaffidabilità degli offerenti”.

Gli affidamenti diretti sono avvenuti spesso senza alcuna indagine di mercato o senza una “in una seppur minima competizione tra gli operatori del settore”.

PER OGNI ITALIANO SPESI IN MEDIA 42 EURO

La spesa pro-capite varia da regione a regione: va da un minimo di 4,79 euro in Molise fino a un massimo di 101,19 euro in Toscana, La media nazionale è di 42,61 euro. Che con la spesa nazionale, quella cioè delle stazioni appaltanti centrali, arrivano a 96,11 euro pro-capite.

E ancora: per l’85% dei casi si è fatto ricorso a procedure che non prevedono l’evidenza pubblica, pari al 93% della spesa complessiva. Non c’è alcuna correlazione tra spesa pro-capite e indice di vecchiaia. Basti dire che la provincia di Bolzano e la Campania, entrambe con un tasso di vecchiaia molto basso, risultano tra gli enti che hanno speso di più.

Difficile orientarsi se il confronto riguarda il numero di contagiati in rapporto alla spesa: si va dai 77.308 euro per contagiato spesi dalla regione guidata dal governatore Vincenzo De Luca ai 3.939 della Val D’Aosta. Sono numeri difficili da interpretare, data l’influenza di diversi fattori, distribuzione, tempistica, forniture ecc., ecc.

LA CLASSIFICA

Lombardia, Toscana ed Emilia-Romagna sono le regioni in cui si è centralizzata maggiormente la spesa. In assoluto il ricorso alla centralizzazione degli acquisti si è attestato al 78,4% della spesa complessiva e ha riguardato soprattutto l’acquisto di mascherine. La Lombardia ha speso per l’emergenza circa 392 milioni di euro; la Toscana 376 milioni e l’Emilia-Romagna 350 milioni. Il Veneto ne ha spesi circa 183, contro i 350 milioni della Campania e i 101 del Lazio. In coda alla classifica ci sono il Molise con 1 milione e 447 mila euro, la Basilica 11 milioni e la Calabria 15 milioni e mezzo di euro.


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