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Il Ministro Vincenzo Amendola

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«Equità territoriale e indicazione dei Lep». Ruoterà intorno a queste due priorità il Recovery Plan italiano. Da questo cerchio concentrico non si potrà uscire realizzare, tutto ciò che non sarà coerente con questa impostazione non verrà finanziato.  Il ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola e ai suoi collaboratori di Palazzo Chigi lo avevano ben chiaro sin dall’inizio. Non è stato necessario un nuovo confronto con Bruxelles. Nicola De Michelis, direttore per la crescita intelligente e sostenibile presso la Dg regionale della Commissione europea, lo aveva anticipato: «Un aumento della liquidità immediatamente sostenibile e una flessibilità sugli investimenti sarà possibile solo per finanziare misure che non sono normalmente sostenute dalla politica di coesione europea». E il ministro lo ha ripetuto nei vari conciliaboli di questi giorni: la Commissione accetterà però lo spostamento di risorse solo in ordine a priorità ben precise. Priorità in senso assoluto. Un concetto che verrà ribadito anche nell’incontro che oggi vedrà seduti intorno allo stesso tavolo i rappresentanti del Comitato interministeriale per gli Affari europei (Ciae). Più che una scelta è una pre-condizione: la Ue metterà il suo visto si approvi sul NextGenUe made in Italy solo su progetti che risulteranno in coerenza con questi due principi cardine.

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Da questi due pilastri si articoleranno le azioni di riforma divise a loro in cinque distinte missioni; economia digitale; decarbonizzazione; salute e formazione; inclusione sociale; infrastrutture. Il confronto con la Ue si aprirà il prossimo 15 ottobre quando verranno esaminati i dossier che dovranno poi essere approvati, inviati in Parlamento e quindi presentati ufficialmente entro la primavera del 2021.  L’Italia – volente o nolente – se vorrà utilizzare i 208,8 miliardi del Recovery fund, circa 122 miliardi in prestiti e 87 per trasferimenti disponibili dal prossimo anno, dovrà dunque accettare la madre di tutte le sfide: la lotta alle disuguaglianze, affrontare i ritardi storici del Paese. Al ministro Amendola, che in questo ultimo mese ha raccolto e riclassificato quasi 6000 progetti dei ministeri e degli enti locali e al Commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni è tutto chiaro.  Bruxelles non accetterà scorciatoie e frammentazioni, rigetterà tutti i tentativi di giocare in modo incoerente la partita del Recovery fund. 

Ci voleva insomma questa sorta di diktat europeo per liberare risorse da destinare al Sud e rilanciare la crescita delle aree interne più svantaggiate. Tutti i progetti incoerenti dal vago sentore assistenzialista verranno stralciati. E dai ministeri sono arrivate una valanga di richieste per mettere le mani sui fondi europei: rifinanziamento dell’Enea tech; allungamento dell’Ecobonus al 110% di altri 3 anni, fino al 2024: 70 miliardi per opere infrastrutturali sono quelli richiesti dalla ministra ai Trasporti Paola de Micheli; 68 i miliardi che andrebbero utilizzati per la Sanità qualora si decidesse di rinunciare ai 36 miliardi del meccanismo Salva-Stati vincolato alle spese sanitarie. La parte del leone, come risaputo, l’ha fatta però il ministro allo Sviluppo Stefano Patuanelli che il 27 agosto scorso ha consegnato un faldone che da solo pesa più di 150 miliardi di euro.

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Equità vuol dire perequazione infrastrutturale, realizzazione di opere come l’Alta Velocità e la digitalizzazione in quei territori del Paese dimenticati. Indicare i Lep, cioè i livelli essenziali delle prestazioni, significa colmare un vuoto decennale, realizzare quelle piccole grandi opere che possono cambiano la qualità della vita nelle regioni rimaste indietro: asili nido, trasporti, servizi per il cittadino, scuole.    

Le richieste dei sindaci e dei governatori che ieri si sono incontrati. Dagli amministratori locali sono arrivate le richieste previste: un piano straordinario per le periferie; un piano per le infrastrutture leggere; una pubblica amministrazione amica; la crescita sostenibile; edilizia verde efficiente; mobilità sostenibile e pubblica; economia circolare e riuso delle acque; città digitali e intelligenti; scuola al centro delle città; una casa per tutti; rigenerazione urbana. Un patto per lo sviluppo che si fonda anche su vecchi progetti da rifinanziare. Verranno accolti solo quelli in linea con le direttive di Bruxelles. Niente sussidi a pioggia, niente liste di progetti resuscitati: le risorse straordinarie dovranno essere spese per liberare le capacità imprenditoriali e migliorare la qualità della vita e la giustizia sociale in tutti i territori. In primo luogo, vanno sostenute le aree marginalizzate, dove le risorse umane e culturali naturali sono azzerate in partenza.  E qui torniamo al discorso dei Livelli essenziali delle prestazioni e alla richiesta del nostro ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia. Utilizzare il Recovery fund per colmare quel vuoto decennale che priva il Sud di preziose risorse nella distribuzione della spesa pubblica territoriale. Una ripartizione legata ancora al meccanismo distorsivo della spesa storica.  Fissate le linee guide e illuminato il nostro Mezzogiorno con il potente faro della Ue, non ci saranno più scuse per non prendere in corsa l’Occidente Express, l’ultimo treno disponibile. L’alternativa sarebbe sperperare in mille rivoli i trasferimenti Ue, in gran parte prestiti ad interesse di poco superiore allo zero e con scadenza 2051. Mettere sulle spalle delle nuove generazioni un debito pubblico che a qual punto viaggerebbe intorno al 160% del Pil. E questo che vogliono gli italiani? 


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