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Non occorreva interrogare la sfera di cristallo o osservare – con gli aruspici – il volo degli uccelli. Bastava conoscere il mondo, la vita reale, i problemi della gente.

IMPRESA TEMERARIA

Quando un governo (il Conte 2) si avventura (il solo in Europa) lungo il percorso insidioso del blocco dei licenziamenti (una misura temporanea che venne adottata nell’immediato dopoguerra ai tempi della ricostruzione in condizioni comprensibilmente diverse dalle attuali), quando decide di tornare “alla normalità’’ stenta a convincere i sindacati, soprattutto se la loro è una linea “conservativa’’ che trova più comodo e prioritario privilegiare le tutele, come il prolungamento della cig, la proroga del blocco dei licenziamenti e la ridefinizione di un sistema pensionistico rivolta ad agevolare l’uscita dal mercato del lavoro, non per fare posto (come era la finalità fantasiosa di quota 100 e dintorni) a nuova occupazione, ma per agevolare gli esuberi.

LE ASPETTATIVE

E’ vero – per fortuna – che nel decreto Agosto la proroga è divenuta più flessibile e articolata: il blocco è stato prorogato fino al 15 novembre limitatamente ad aziende che ricorrono a incentivi, contributi o che fruiscono di ammortizzatori sociali. I sindacati hanno accettato questa mediazione in base a una considerazione banale: se un’impresa non chiede la cig, evidentemente non ha necessità di adeguare gli organici.

Più avanti commenteremo un Rapporto Excelsior-Camere di Commercio, riferito a 140mila aziende che hanno risposto all’indagine di ottobre, da cui risultano delle importanti disponibilità ad assumere (anche se inferiori da un – 17% a un -35 %, a seconda dei territori, rispetto a ottobre dello scorso anno.

In agosto ci chiedemmo che cosa sarebbe successo dopo il 15 novembre. I sindacati avrebbero potuto sostenere – a buon diritto – che la crisi non era finita (oggi la situazione è persino peggiore di quella che ci si aspettava in agosto).

E quindi – come sta avvenendo – alla scadenza della proroga, Cgil, Cisl e Uil avrebbero chiesto di tirare diritto. Il blocco dei licenziamenti si basa , tuttavia, su di un presupposto astratto e insostenibile nella realtà: che, passata la bufera della crisi sanitaria e delle ricadute del lockdown sull’economia, tutto possa tornare come prima e allo stesso modo di prima. Il blocco dei licenziamenti avrebbe la pretesa di congelare la situazione pre-covid e restituirla “più forte e gagliarda di prima’’. Tutto ciò, impedendo alle aziende di riorganizzarsi e di adeguare gli organici alle nuove esigenze produttive.

I NODI AL PETTINE

Quella dei sindacati è una posizione comprensibile – vista la gravità dei problemi occupazionali che si porranno in autunno – ma alla lunga finisce per impiegare importanti risorse per assicurare un reddito e non un’occupazione e imbalsamare posti di lavoro finti.

Adesso i nodi sono arrivati al pettine e il tema del blocco ha occupato intere notti di negoziato tra sindacati e i ministri Catalfo e Gualtieri.  Il governo ha proposto di fare un passo avanti togliendo di mezzo – se abbiamo ben compreso – il legame tra divieto di licenziare (il cui limite sarebbe stato portato fino al prossimo 31 gennaio (un mese in più di quanto prospettato finora), per allinearlo alla scadenza dello stato d’emergenza. Nello stesso tempo sarebbe stata prorogata la cassa integrazione per altre 18 settimane utilizzabili fino a giugno. In sostanza, il governo vuole condizionare la proroga del blocco non più alla cig autorizzata ma solo a quella utilizzata. I sindacati hanno però rilanciato chiedendo di allungare il blocco dei licenziamenti «almeno fino al 21 marzo».

IL REPORT

Posizioni distanti che hanno portato alla sospensione del vertice e a un nuovo appuntamento. Ormai diviene sempre più evidente che la leggerezza e la demagogia che hanno ispirato il ricorso al blocco sta diventando come il rischio di cadere dalla padella sulla brace. Perché è vero che la prosecuzione del divieto diventa sempre più insostenibile, ma è altrettanto vero che – come hanno riconosciuto Gualtieri e Catalfo – è pericoloso stabilire una “data X’’ dopo la quale potrebbe partire una ondata di licenziamenti. Per questo hanno auspicato una trattativa che veda allo stesso tavolo sindacati e imprese sulle misure di gestione della fuoriuscita dal blocco dei licenziamenti: potenziamento degli ammortizzatori e politiche attive del lavoro. Ce ne sarebbe bisogno, perché anche nel corso di una crisi gravissima, le aziende non stanno tirando le cuoia.

Il Rapporto Excelsior riferito al mese di ottobre (certo le previsioni sono state compiute prima degli ultimi provvedimenti anti-contagio) tira le somme dei loro piani di assunzioni comunicate dalle aziende sentite. Il 13% delle aziende sentite intende assumere, le entrate previste in ottobre sono 281.810 (da ottobre a dicembre: 763.770): tra queste sono previste entrate di giovani under 29 anni in misura del 31% (86.370).

INCONTRI DIFFICILI

Ma per assumere ci sono problemi: spesso non si trova la manodopera che serve. La difficoltà di reperimento riguarda il 33% del complesso. In proposito non è una novità che le imprese stentino a trovare personale qualificato rispetto al fabbisogno.

Le difficoltà di reperimento, sulle entrate programmate in ottobre arrivano al 46,2% per gli operai specializzati, al 42,8% per i dirigenti e le alte professioni, al 40% per il personale tecnico. Ma è singolare che le aziende ritengano difficile reperire il 22% degli impiegati e il 15% del personale non qualificato di cui hanno bisogno. Ecco perché sarebbe interesse delle parti sociali favorire le assunzioni richieste piuttosto che difendere posti purtroppo divenuti “anime morte’’.


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