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Aldo Ferrara, presidente di Unindustria Calabria

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«C’è ben poco da analizzare, purtroppo. I dati di Bankitalia che raccontano del calo del Pil al 9% e della crescita delle esposizioni di piccole e medie imprese convergono con quelli di tutti gli altri istituti economici e raccontano di una regione fragile che adesso subisce una crisi che potrebbe portare ad un allargamento, non più recuperabile, della forbice con il resto del Paese». Aldo Ferrara è presidente di Unindustria Calabria e dice che è inutile rincorrere numeri che sono arcinoti. Il problema è mettere in campo le soluzioni giuste.

«Qui i problemi sono due – spiega – Il primo, più banale, è la sopravvivenza dell’impresa. Il secondo è il suo rilancio. Più che parlare di ristori, quindi, il Governo dovrebbe mettere in campo una seria politica industriale per il Sud. Per quanto riguarda il primo punto noi con la presidente Santelli avevamo sottoscritto un protocollo d’intesa che proprio in questi giorni ha dato i suoi frutti con un fondo liquidità gestito da Fincalabra, la holding finanziaria della Regione. Il punto vero è ragionare sul rilancio – spiega ancora Ferrara – che a nostro avviso deve avere una doppia direzione. La prima è quella di stimolare investimenti privati, anche da parte di giovani generazioni. In tutto il mondo stiamo assistendo a fenomeni di reshoring con aziende che stanno tornando in Italia. Dobbiamo come Meridione essere capace di attrarre queste aziende. L’altro binario su cui deve correre il rilancio sono gli investimenti pubblici. In questo senso il Recovery Fund dovrà essere utilizzato per un grande piano di infrastrutture e logistica nel quale inserire la realizzazione del retroporto di Gioia Tauro, l’elettrificazione della linea ferroviaria Jonica, il completamento definitivo della Ss 106, la trasversale Jonio-Tirreno, il Ponte sullo stretto».

Il problema è capire chi andrà a discutere queste cose in conferenza Stato/Regioni visto che la Calabria oggi è governata da un presidente facente funzione, il leghista Nino Spirlì, che non è stato nemmeno eletto, ma scelto direttamente dalla compianta Jole Santelli.

Un problema non da poco perché al di là dei dati di Bankitalia, la crisi in Calabria si tocca davvero con mano. «Il settore florovivaistico calabrese – dice Francesco Iantorno dell’azienda Florovivaistica Cavalieri &Papajanni srl di Bisignano (CS), 35 ettari in serre/vetro – è in grande sofferenza e a rischio chiusura; il lockdown è avvenuto proprio nei mesi primaverili in cui le aziende realizzano la parte più consistente del fatturato, ma nel quale hanno anche spese notevoli per il riscaldamento delle serre». A distanza di mesi, la perdita secca subita dalle aziende calabresi del comparto è rilevante, sicuramente sopra il 40% e questo a costi invariati. E non stiamo parlando di un settore marginale. Le aziende florovivaiste in Calabria sono oltre 160, tra grandi, medie e piccole e generano un valore alla produzione che nel 2019 si era attestato a circa 73milioni di euro. «Nel 2020 il calo – conferma Iantorno – è stato fino ad adesso e per quanto ci riguarda di oltre il 20%. Nei tre mesi primaverili abbiamo letteralmente buttato fiori per un valore di 1,8 milioni di euro con un’inevitabile contrazione delle giornate lavorative. Ricordo – aggiunge, che diamo lavoro a 200 famiglie».

«Il problema è che stiamo parlando di un settore – spiega Franco Aceto presidente regionale della Coldiretti – che non può chiudere. Chi ha una stalla deve comunque accudire gli animali anche se le vendite sono ferme. Non può semplicemente spegnere un bottone»

Per Aceto il vero dramma è «che non sappiamo quale scenario avremo alla fine di questa pandemia. Le aziende agricole hanno fatto i loro investimenti sulle condizioni di mercato del 2019, ma tutti sappiamo che niente sarà più come prima e allora come faranno a rientrare di questi investimenti?».

Un’idea da proporre al Governo Aceto ce l’ha, anzi due. «Una proroga della moratoria sui debiti bancari almeno fino al 31 gennaio 2022 per garantire un po’ di respiro nel breve periodo. Sul lungo bisognerebbe varare una legge che consenta la ristrutturazione finanziaria dei debiti. Gli impegni delle aziende vanno rimodulati attraverso fondi di garanzia che fra l’altro sono rotativi e quindi non implicano particolari stanziamenti di risorse. Per permettere il rilancio delle aziende serve spalmare i debiti su 25/30 anni. Bisogna finirla con i bonus di mille euro che ad un’azienda non servono nemmeno a pagare le bollette dell’energia».

E che funzione abbiano avuto i bonus del Governo lo testimonia Confartigianato Imprese Catanzaro. «Con dpcm del 25 ottobre, prima ancora che il nostro Paese fosse suddiviso in zone rosse, arancioni e gialle, il presidente Conte ha ordinato la chiusura di tutte le palestre e piscine operanti sul territorio nazionale, mettendo ulteriormente in ginocchio un mondo che, dopo le precedenti chiusure e i numerosi investimenti successivi per poter rendere i loro spazi sicuri, sono stati ancora una volta beffati dallo Stato – dice il presidente Enzo Bifano – In cambio le solite promesse sull’erogazione di appositi bonus. A distanza di 20 giorni nessuno ha visto neanche un centesimo degli 800 euro promessi. E’ pervenuta, invece, a tutti una prima mail che chiedeva di confermare di essere ancora in possesso dei requisiti per beneficiare del bonus. A distanza di ulteriori giorni, l’avviso che “a breve” arriverà un’ulteriore mail con ulteriori conferme o rinunce da dare. Intanto i tempi si dilatano».

«Noi abbiamo fatto una scelta chiara non vendiamo nella grande distribuzione per cui è chiaro che la chiusura di tanti negozi per noi ha rappresentato un problema – dice Fortunato Amarelli, presidente Confindustria Cosenza e titolare della rinomata industria di liquerizia – Stiamo avendo un incremento dell’e-commerce che però non è sostitutivo delle vendite dei negozi. E’ però un segnale che tutti noi dobbiamo rimettere in discussione il nostro modo di lavorare e pensare a nuove strategie per il futuro».


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