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Corrado Augias

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Un popolo dove ci si sbrana, dove la convivenza non è civile. Un paradiso abitato da diavoli. Città di lazzaroni e pulcinelli, semibarbara e africana. Così scrive Leopardi al padre parlando di Napoli. E così il programma “Città segrete” di Rai Tre riporta, ammiccando allo spettatore che forse questo vuol sentirsi dire.

Corrado Augias ripercorre gli speciali sulle città meridionali con un pregiudizio imperante, che prevede che bisogna far prevalere le immagini di città degradate, in mano alla camorra, in cui il riferimento a Raffaele Cutolo e al sequestro Cirillo è d’obbligo.

IL MANTRA DEMAGOGICO

Un Paese che purtroppo non riesce a valorizzare il suo territorio, per cui se parli di Napoli o Palermo il riferimento alla camorra o alla mafia deve essere obbligatorio. Ma tant’è, l’approccio di una certa cultura demagogica e sinistrorsa che semplifica tutto in un approccio distorcente di una realtà complessa. Dove le cause dell’abbandono di uno Stato patrigno non vengono mai fuori e le responsabilità del degrado sono sempre ed esclusivamente dell’incapacità di una realtà lombrosionamente inferiore.

«Non c’è nessuno, qui, che non sia un vinto, umano e storico, un messo a terra per sempre. Tutti quanti, andalusi, cretesi, turchi, arabi, occitani, armeni, siciliani, greci vixerunt, anche se di fuori sgambettano, la loro anima giace strangolata nel sottosuolo della storia, lo spettacolo, la scena, le parole sono sfoghi di vento, non c’è nulla dietro, popoli finiti… Sono i Mediterranei, morti come il loro mare, una specie mentalmente estinta, anche se in spermatozoi vivace ancora, ma non riproducono che sfinimento».

Così il torinese Guido Ceronetti nel suo viaggio in Italia, ed è questo il mantra della parte “colta” del Paese.  Una maggior capacità di approfondimento, forse, avrebbe fatto capire meglio le ragioni per cui Maradona diventa un simbolo di riscatto. Ogni napoletano si riconosce in questo ragazzo nato a Buenos Aires. Voglio diventare l’idolo dei ragazzi di Napoli. Per cui finisce la storia d’amore tra Maradona e l’Italia ma non tra Maradona e Napoli. Perché la città lo sente come suo difensore rispetto a tutti i torti subiti da una colonizzazione che continua.

E così la Rai che si permette di parlare in libertà, dando una immagine che certo non incoraggia i visitatori potenziali a confermare un viaggio, in una delle città più belle d’Italia che però nella classifica dei visitatori viene al 16° posto tra le città italiane con 3.200 presenze contro i 10 milioni di Firenze, così come Palermo viene al 38° posto, precedute entrambe da Riccione e Lazise.

GLI STEREOTIPI FASULLI

Per cui la gente oggi pensa di evitare un viaggio in una realtà descritta come un far west incontrollato. “Addà passá a nuttata” direbbe Edoardo De Filippo pensando a quel popolo stretto e accalcato in questi vicoli vocianti protagonista di una quotidiana messinscena con il viso segnato dalla malinconia! Perché la Napoli che non ha diritto di cittadinanza è quella dei ragazzi costretti a emigrare perché è morta anche la speranza di trovare un posto di lavoro nella Regione.

Sono illuminanti le battute tratte dal film di Massimo Troisi “Ricomincio da tre”: «Ah lei è napoletano! Emigrante?». Eh sì, perché il meridionale scansafatiche, pizzaiolo, mandolinaro, poltronaro e con il reddito di cittadinanza oggi deve essere solo emigrante.

Purtroppo anche la Rai, come tutti i media nazionali, non riesce a discostarsi da un approccio coloniale rispetto al Mezzogiorno e a una visione stereotipata che, piuttosto che valorizzare le bellezze di quella che è stata una delle capitali europee, insieme a Parigi e Londra, quando la Milano da bere era una piccola realtà di una zona nebbiosa, ne amplifica i tanti vizi che certamente esistono. Ma è un approccio che riguarda tutto il Sud, per cui se la sanità in Calabria non è all’altezza è colpa della ’ndrangheta e quindi dei calabresi, anche se la sanità in quella Regione è commissariata dallo Stato da oltre 10 anni.

E il mantra che bisogna far correre Milano anche se Napoli affonda viene ripetuto da una classe dirigente settentrionale che non riesce a capire che la mediterraneità dello stivale è una virtù che va valorizzata più che un vizio che va represso.

LA MISTIFICAZIONE

E anche il miracolo di San Gennaro diventa in questa logica per Corrado Augias un evento da popoli sottosviluppati che credono a miracoli fasulli e viene affiancato ad un esperimento dell’ateo principe di Sansevero. 

Per cui ancora dai visitatori che, malgrado la vulgata di un Mezzogiorno da evitare, riportata ovviamente sui media internazionali, riescono ad arrivare a visitarlo, si sentono esclamazioni di meraviglia, perché le attese erano di dover uscire dall’albergo con il giubbotto antiproiettile. Anche l’accostamento con la cultura della morte delle anime pezzentelle dà una immagine lugubre di una città nella quale la luce e il colore sono invece i tratti predominanti. Nulla della grande tradizione della canzone napoletana, conosciuta in tutto il mondo, nulla di quel «’o sole mio» più noto dell’inno di Mameli.

Nulla della grande tradizione giuridica, nulla degli ultimi 160 anni di unità che l’hanno degradata a periferia di un Paese proprio per questo ormai in declino. Purtroppo Augias di fronte a un impegno importante come raccontare Napoli o anche Palermo, si è fermato a tanti luoghi comuni. Il cambio di passo che serve ai nostri media per interpretare realtà in profondo cambiamento, come quelle del Sud, con una gioventù vivace che rappresenta il vivaio artistico nella musica come nel teatro nel cinema e nelle arti non si riesce ad avere. 

Più facile rifugiarsi nella storia da raccontare della camorra che, certamente, è ancora un dramma ma che è frutto di accordo scellerato tra classi dominanti locali e potere centrale che non ha impiegato tutta la sua forza per combatterla e annientarla, rimane il logo caratterizzante.


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