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Il deputato del Pd Alessandro Zan

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La metempsicosi è “la reincarnazione delle anime, secondo la credenza professata da alcune dottrine religiose’’. Se facessimo una ricerca in proposito troveremmo certamente intere biblioteche che trattano l’argomento.

Immagino, però, che se trovassimo scritto in un articolo di legge che nei programmi scolastici si devono dedicare ore di insegnamento a questa dottrina, forse ci porremmo delle domande.

Nel libro ‘’Sottomissione’’ Michel Houellebecq ipotizzava un futuro abbastanza prossimo dove, in Francia, un partito mussulmano (le conversioni erano all’ordine del giorno anche per questioni di potere) diventava determinante per formare un’alleanza di governo. Così si cominciava a programmare l’introduzione della poligamia nel novero dei nuovi diritti civili. Poi, visto che la cancel culture si preoccupa solo delle opere dei grandi filosofi greci, ma non dell’attitudine alla pedofilia, per quale ragione vietarne la pratica, se in un Paese nordeuropeo è consentito persino avere rapporti sessuali con animali a condizione che non si provochi loro sofferenze?

È chiaro che ci stiamo ponendo interrogativi che possono sembrare paradossali ad un interlocutore del nostro tempo, ma quando sono le leggi ovvero il diritto positivo a riconoscere diritti che hanno perduto ogni rapporto valoriale con il diritto naturale, possiamo aspettarci di tutto. Chi scrive è contrario al ddl Zan e non si sente un oscurantista né un bigotto, tanto meno un fascista. Uno della mia generazione – se riflette onestamente sull’educazione ricevuta – è in grado di comprendere le sofferenze e i torti subiti dalle persone omosessuali (specie se nati maschi). Nessuno lo ricorda. Ma c’erano anche loro nei campi di sterminio con la stella rosa sulla divisa a righe ora abusata dai no vax. Per decenni sono stati costretti a nascondere le loro attitudini sessuali. Nel dialetto della mia città si diceva: “l’è mej un fiol lader che un fiol buson”.

Ovvero «è meglio avere un figlio ladro che ‘’busone’’» come venivano definiti i gay. In sostanza, perfino le famiglie si vergognavano di loro. Fin dalla scuola chi fosse – come si diceva allora ‘’effeminato’’ era oggetto di un bullismo violento, persino ammesso dalla comunità in considerazione dell’abnormità della ‘’deviazione’’.  È facile comprendere come si dovesse sentire un ‘’diverso’’ in quel contesto sociale e (sub)culturale. La commedia all’italiana – anche quella di grande qualità – ha prosperato sullo stereotipo dell’omosessuale, con definizioni che variavano a seconda delle realtà territoriali ma che facevano parte del linguaggio consueto. 

Tutto questo non si riferisce a tempi lontani e neppure recenti, ma è presenta ancora in mezzo a noi, anche se si sono compiuti importanti passi avanti nel costume e nell’ordinamento giuridico. Il ddl Zan si proponeva di contrastare con sanzioni più severe una discriminazione ormai ritenuta inaccettabile? Qualcuno ha sostenuto con argomenti che si sarebbe trattato di un eccesso di tutela rispetto alla legislazione ordinaria e che sarebbe stato un errore prevedere delle fattispecie di protezione per figure troppo specifiche, con il rischio di escluderne altre (tanto che nel disegno di legge si è reso necessario introdurre i disabili che nulla hanno da spartire con le discriminazioni basate sul sesso o come si dice adesso sul genere). Si riteneva tuttavia – come è stato detto – mandare un segnale più forte, attraverso un regime sanzionatorio più robusto? Nessuna forza politica avrebbe potuto chiamarsi fuori (ancor meno che nel caso delle unioni civili). Perché allora, col pretesto di assicurare una maggiore tutela agli omotransessuali il ddl voleva insinuare (articoli 1, 4 e 7) nell’ordinamento giuridico, con il riconoscimento del concetto di ‘’identità di genere’’, una visione ideologica, priva di qualunque riscontro scientifico.  Il sesso – che è l’unico dato reale ed evidente – era relegato ad un tratto di penna dell’anagrafe e considerato un adempimento burocratico che avrebbe imprigionato il corpo alla natura degli organi genitali.

Mentre l’espressione del diritto civile avrebbe dovuto consentire di bypassare l’esistenza di differenze (visibili e intuitive) che da miliardi di anni distinguono in tutti gli esseri viventi il maschio dalla femmina. E sono le differenze che permettono la procreazione e la riproduzione sociale. Da questo vincolo non si sfugge, nonostante tutti i surrogati e le diavolerie che una scienza, un po’ disumana e mercificata, ha inventato per sottrarre il concepimento alle leggi della Natura.  Che cosa c’entrano i diritti civili (spesso evocati a sproposito) con l’identità di genere? Esercitare un diritto significa poter dare espressione libera alle proprie attitudini sessuali in un quadro di tutele contro la violenza, la discriminazione, la repressione; significa poter dare – come è stato fatto – a queste unioni un riconoscimento giuridico con i relativi diritti e doveri.

L’identità sessuale di un individuo, secondo le teorie a cui il ddl si ispirava, non veniva stabilita dalla natura e dall’incontrovertibile dato biologico ma unicamente dalla soggettiva percezione di ciascuno che sarebbe stato libero di assegnarsi il genere percepito, “orientando” la propria sessualità secondo i propri istinti e le proprie pulsioni. Era il genere, secondo questa dottrina, che stabiliva, in ultima analisi, l’identità sessuale di un individuo. Non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali. Non ci sono maschi e femmine ma ci sono semplicemente esseri umani, liberi di assegnarsi autonomamente il genere che percepiscono al di là dell’incomodo del loro sesso naturale le cui tradizionali specie  diventano così delle categorie mentali superate, inadatte a rappresentare la complessità sociale moderna e che per questo vanno rimosse per “decostruire”, ossia, cancellare la natura, con l’obiettivo di smantellare pezzo per pezzo, un sistema di pensiero considerato obsoleto e persino reazionario, alla stregua dei peggiori disvalori.

Così si è arrivati al punto che persino quelle manifestazioni di entusiasmo che ogni opposizione attua da sempre e ovunque quando sconfigge la maggioranza in una votazione importante, viene pubblicamente stigmatizzata alla stregua di una gazzarra oscurantista, perché espletata ai danni di un ‘’diritto civile’’. Ma se l’orientamento sessuale viene difeso dalla legge, non vi è alcun motivo – e nessuno è autorizzato a rivendicare un diritto in tal senso – per consentire alla teoria dell’identità di genere (ovvero «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione») di trovare posto, in modo arbitrario e truffaldino, nell’ordinamento giuridico alla stregua di un valore comune. Determinando così una vistosa contraddizione: quanto viene percepito diventerebbe reale a norma di legge, mentre ciò che è platealmente reale (il sesso) si trasformerebbe in un’opinione, magari un po’ retrò e a rischio di essere ritenuta una prevaricazione di diritti creati in vitro dal legislatore. C’era la possibilità di approvare il ddl con una larghissima maggioranza stralciando gli articoli inquinati da un’ideologia sconosciuta come il covid-19. Ma proprio su questi articoli si è voluto dare battaglia mettendo a rischio tutto il resto; peraltro la definizione identità di genere era inclusa in tutti gli articoli come se fosse un ‘’amen’’ da recitare dopo ogni preghiera (per inciso, negli Usa, per non fare discriminazioni dopo ‘’amen’’ dicono pure “awomen”).

Si vede che in fondo erano questi gli articoli giudicati più importanti della nuova metempsicosi. Un tempo la sinistra si preoccupava dell’identità di classe; adesso è passata all’identità di genere. E questo cambiamento di valori viene oggi definito evoluzione, modernità, capacità di interpretare i cambiamenti della società. 


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