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Riciclavano denaro attraverso le sale gioco. Undici persone di nazionalità cinese arrestate in provincia di Udine e indagate per riciclaggio, attività finanziaria abusivi e altri reati tributari. Disposto il sequestro preventivo di oltre 2 milioni di euro, vincolati i beni e disponibilità finanziarie.

La notizia è di ieri ma è una storia che si ripete quotidianamente: proventi illeciti reimpiegati in attività economiche e finanziarie, in particolare, nell’acquisto della licenza per l’esercizio di gioco e scommesse. Una filiera che dalle slot machine porta all’usura e ai traffici di droga.

Un’industria del crimine che sfrutta la burocrazia e il caos amministrativo delle nostre regioni per fare affari. Ventuno regioni, 21 leggi diverse per regolare una materia incandescente. Contro un “nemico” che si è saputo attrezzare anche sul piano legale. Lobby pronte a fare pressioni sulla politica e a ingaggiare estenuanti battaglie legali.

LA GUERRA DEI TAR

Lo Stato ha puntato sulle Regioni e ha perso. Le disposizioni del testo unico del 1931 in materia di pubblica sicurezza sono state più volte aggiornate nel corso degli anni per contrastare i fenomeni di illegalità connessi alla distribuzione online dei giochi con vincite in denaro. In particolare con l’attribuzione all’Azienda autonoma Monopoli di Stato della regolamentazione del settore che vuol dire anche inibizione dei siti web privi delle autorizzazioni previste o in contrasto con la disciplina vigente.

La criminalità non si è lasciata però intimorire. Anzi. Uno stuolo di avvocati disposti a tutto è pronto a inserirsi nella giungla dei regolamenti regionali. Norme per lo più restrittive, emanate in ordine sparso. Così che i diversi regolamenti, una volta individuata una piccola falla, vengono puntualmente aggrediti con una serie di ricorsi e contro-ricorsi da parte delle società che gestiscono le sale da gioco.

L’INTESA STATO-REGIONI

In teoria non si dovrebbe ripartire da zero. Le basi sono state gettare con l’intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni nel 2017 per riordinare un settore lasciato per anni nel caos. Prendiamo ad esempio la Liguria. La legge regionale n.17 del 2012 a modo suo ha fatto scuola disciplinando aperture e orari ma è stata subito presa di mira dai gestori.

Con 3 sentenze diverse il Tar Ligure ha respinto gli attacchi considerando la legge in linea con gli indirizzi della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato. Stiamo parlando di normative che rientrano pienamente nell’ambito delle competenze regionali e degli enti locali in materia di tutela della salute e di politiche sociali. Volte a tutelare quelle “categorie sociali meno attrezzate economicamente e culturalmente per esistere alla tentazione di provare ad arricchirsi” tramite il gioco: pertanto, si legge nella sentenza emessa nel 2014, che “non sussiste alcuna invasione delle prerogative statali nella materia dell’ordine e della sicurezza pubblica e nell’applicazione dei principi della libera concorrenza.

Il Tar ha però annullato le disposizioni che limitano in modo rigido gli orari di apertura degli esercizi commerciale che non trovano copertura nella legge regionale né nelle disposizioni generali sui poteri del sindaco e del consiglio comunale. Al contrario, il Tar ha affermato la legittimità delle disposizioni e prevedono il rilascio di uno specifico titolo autorizzatorio comunale anche per gli esercizi già in possesso di autorizzazioni di pubblica sicurezza ex art. 88 e 110 testo unico delle leggi sulla pubblica sicurezza: la previsione di un ulteriore controllo su tale attività – previsto dalla legge regionale – si giustifica proprio per le finalità di prevenzione sociale connesse all’attività di gioco a premi in denaro.

IL PING PONG DEI DIVIETI

Ma l’assalto giuridico ai provvedimenti limitativi del gioco non è finito. Il Tar è stato chiamato a pronunciarsi – giudicandole legittime – anche sulle disposizioni che vietano le attività pubblicitarie o promozionali relative ai giochi leciti e che prevedono vincite in denaro. E sono state giudicate conformi alle disposizioni della legge regionale anche le norme dell’articolo che individuano ulteriori “luoghi sensibili” presso i quali non è consentita l’apertura di sale gioco (e cioè stabilimenti balneari e giardini, parchi e spazi pubblici attrezzati e altri spazi verdi pubblici attrezzati) e che impongono il divieto di aprire agenzie per la raccolta di scommesse, sale videolottery e di installare giochi con vincita in denaro nel raggio di 100 metri da “sportelli bancari, postali o bancomat” e da “agenzie di prestiti di pegno o attività in cui si eserciti l’acquisto di oro, argento od oggetti preziosi”. Nella stessa direzione va la sentenza del Tar del Lazio n. 279 del 2014 e il successivo ricorso presso il Consiglio di Stato.

UN VORTICOSO CONTENZIOSO

Regione che vai contenzioso che trovi, insomma. Si va dalla pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 220 del 2014), volta a legittimare il potere di ordinanza del sindaco, alle impugnazioni delle delibere di contrasto al fenomeno del gioco di azzardo patologico. Il Tar Lombardia ha giudicato legittima l’ordinanza del sindaco di Lecco sulle limitazioni degli orari delle sale giochi e degli esercizi per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale (sentenze n. 995 del 2015 e n.704 del 2015). Nello stesso senso, anche le decisioni del Tar Liguria nei confronti dell’ordinanza emessa dal sindaco di Imperia (sentenza n. 362 del 2015). Idem il Tar Veneto, con riferimento alla disciplina dettata dal comune di Verona (sentenza n. 290 del 2015).

Un ricorso tira l’altro. L’importante è mettere un granello di sabbia negli ingranaggi del nostro sconclusionato federalismo. E tutto fa brodo pur di raggiungere l’obiettivo. Per cui “sì” alla “riponderazione comparativa periodica degli interessi in conflitto…” chiesta dal comune di Treviglio, acquisendo con cadenza annuale i dati della Asl relativi ai danni causati dal gioco patologico.  “No” all’ordinanza del sindaco di Bresso, in quanto l’istruttoria sulle dimensioni del fenomeno della ludopatia nel territorio comunale risultava carente e generica (sentenza n.1237 del 2014)

A MILANO MULTE DA 25 EURO

Le ramificazioni di questa giungla di regole e di contro regole applicate o disattese è infinita. Altri esempi; la normativa applicata nel Lazio vieta l’apertura di nuove sale gioco ubicate ad un raggio inferiore a 500 metri da aree sensibili, quali istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente dai giovani, centri anziani, strutture residenziali o semi-residenziali operanti in ambito sanitario o socio assistenziale o luoghi di culto. In altre regioni lo stesso limite si scende a 300 metri.

È l’effetto del cosiddetto “distanziometro”, nato, come ha più volte chiarito la Corte costituzionale con numerose sentenze, con l’intento di tutelare la salute e non invece di criminalizzare le imprese del settore. Le Regioni dovrebbero legiferare nel rispetto dei principi dettati dalla legislazione statale per evitare che le vittime più psicologicamente esposte alle dipendenze possano finire nella rete. La maggior parte delle regioni – spiegano – applicano il distanziometro sia per le sale giochi che per le sale scommesse. La Lombardia invece ha dispensato le seconde a meno che non ospitino “apparecchi a intrattenimento”.

Piemonte ed Emilia-Romagna applicano le distanze minime anche per le vecchie licenze pur concedendo ai titolari un congruo periodo di tempo per adeguarsi alle nuove disposizioni. Altre ancora – citiamo sempre il libro – si rivolgono solo alle cosiddette nuove aperture successive all’entrata in vigore dei provvedimenti. Un comune può limitare l’accesso a determinate tipologie di gioco a 8 ore di apertura giornaliera e quello limitrofo applicare orari diversi. In alcuni le saracinesche devono scendere tassativamente giù alle 19.30, in altre, ad esempio a Milano, si apre alle 18 e si chiude alle 23, tutti i giorni festivi compresi, pena una multa che va da un minimo di 25 euro ad un massimo di 500 euro. Una scommessa e passa la paura.


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