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Giuseppe Conte

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“Si riparte se riparte la scuola”. Il messaggio di Conte, inviato ieri a Bologna in occasione dell’evento Riparte l’Italia, è chiaro. “Ripartire – sottolinea il Presidente del Consiglio – significa ritrovare la fiducia nel fatto che l’Italia ha un potenziale enorme: dobbiamo rialzarci per accelerare, non per stare in piedi come prima. L’Italia può, deve osare: ma riparte solo se riparte la scuola”.

Possibilmente e per una volta – è forse il caso di dirlo – prima e dove ce n’è più bisogno. Al Sud. Almeno se davvero si vuole affiancare – sono sempre parole di Conte – lo sviluppo e l’efficienza alla solidarietà, ricominciando a correre sì, ma senza lasciare nessuno indietro. “All’Italia non manca nulla per farcela”, precisa il premier. Nella misura in cui – ripetiamo da queste pagine – voglia essere un Paese unico, dove Nord e Sud sono territori geografici, non il presupposto della “segregazione su base regionale” di cui parla l’Onu quando parla di scuola nelle regioni meridionali italiane. Regioni dove bambini e adolescenti sono stati lasciati indietro, eccome, a causa di edifici scolastici pericolanti proprio dove il rischio sismico è più elevato, di mense e tempo pieno inesistenti, di aule troppo piccole e cortili abbandonati, di una agibilità igienico-sanitaria ferma al 15% del patrimonio scolastico, di tecnologia e digitale rimasti lettera morta nelle aree interne e nei Comuni dove il rischio di povertà di famiglie e minori è ai primi posti delle classiche europee e dove la dispersione scolastica è doppia rispetto al resto del Paese.

Parla di giorni cruciali, Conte, riferendosi al nuovo anno scolastico “ripreso in modo ordinato, nel rispetto delle regole”. Alle prese, però, con una due giorni di manifestazioni in tutte le piazze d’Italia e riaperture posticipate – causa sicurezza – quasi esclusivamente al Sud. Le proteste di ieri e venerdì, di studenti, docenti, sindacati e oltre 80 organizzazioni di settore su personale insufficiente, scuole fatiscenti, classi “pollaio” ed un numero impressionante di lavoratori precari chiamati in servizio cronicamente in ritardo, ad anno scolastico già avviato, parlano di tutto ciò che nel Mezzogiorno – rispetto al Nord – sfiora cifre da quasi paralisi delle attività e dei servizi. Primo fra tutti, quello comunale all’infanzia.

È stato sempre il Sud quello obbligato a posticipare la riapertura dalla data ufficiale del 14 settembre al 24 e al 28 settembre, fino al 1 ottobre, a causa delle mancate sanificazioni post elezioni. Ed a fare i conti con criticità vecchie e nuove, visto che mentre il Ministero della Salute rende pubblica la circolare sulla gestione di possibili casi Covid, in molte scuole di Calabria e Campania i ragazzi sono ancora in attesa dei banchi monoposto e costretti a spostarsi – quando ci sono – con autobus urbani e di linea affollati. Di fatto, insomma, la scuola è ripartita. Ma per quella che dovrebbe essere la prima, vera infrastruttura del Paese – dell’intero Paese – è ancora una volta il Sud a far registrare i dati più allarmanti, con lavori di edilizia mai partiti, dispositivi di protezione e igiene carenti, organico mancante, didattica a distanza inadeguata e trasporti insufficienti. E, sia chiaro, con l’emergenza Covid buona ultima rispetto a quella “arretratezza delle aree meridionali” richiamata, insieme alla disoccupazione, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella come problema da risolvere per creare nuovo sviluppo.


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