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Scuola in primo piano nell’agenda del nuovo Governo, secondo il programma di massima indicato nel secondo giro di consultazioni dal premier incaricato Mario Draghi. Sul tavolo, investimenti mirati su istruzione e giovani, con l’assunzione dei docenti mancanti, la copertura tempestiva delle cattedre a settembre (200 mila posti ancora scoperti su 800mila) ed un possibile allungamento del calendario per il recupero delle ore di lezione perse sotto pandemia. Oltre alla lotta contro l’abbandono scolastico. Temi nazionali, non c’è dubbio. Che scontano però diseguaglianze storiche a livello regionale. Perché proprio sul fronte scuola, è nel Mezzogiorno più che altrove che manca tutto: insegnanti, aule, palestre, bidelli, scuolabus, computer.

È al Sud che, sul versante istruzione, serve quasi tutto per esistere, funzionare e tornare ad essere possibilità di futuro, oltre che un pezzo dello stesso Paese. Perché è tra i banchi che il virus della diseguaglianza – da diversi decenni prima del Covid e da almeno dieci anni di spesa storica con relativi mancati livelli essenziali dei servizi e delle prestazioni – ruba dignità, opportunità e sviluppo alle generazioni del meridione, così come alla crescita complessiva dell’Italia. Una disparità, rispetto alle regioni del Nord, che inizia dai primi anni di vita, con un’offerta praticamente inesistente di asili nido e servizi all’infanzia, e sopravvive negli edifici scolastici senza agibilità e ad alto rischio sismico, attraverso docenti sempre meno numerosi e più precari, assenza di trasporto pubblico e di infrastrutture tecnologiche materiali ed immateriali.

Un disastro che, nonostante organi come Onu, Corte dei Conti e Istat certifichino annualmente con relative raccomandazioni, continua a rappresentare un’ipoteca per regioni come Calabria e Campania, destinate ad un impoverimento crescente di reddito e cultura, di posti di lavoro e attività di ricerca e con uno spopolamento che aumenta a ritmi esponenziali e per fasce d’età sempre più ampie.

“La chiusura delle scuole e di altri luoghi di apprendimento ha interrotto percorsi professionali ed educativi, approfondito le diseguaglianze”, ricordava nell’agosto scorso al Meeting di Rimini lo steso Draghi. Sottolineando come la pandemia non avesse creato, ma “approfondito” – appunto – diseguaglianze croniche, preesistenti e da tempo sotto gli occhi di tutti. Rispetto alle quali, quindi, scegliere di investire e sapere come farlo diventa in questo momento vitale non solo rispetto ai principi costituzionali, ma anche riguardo la tenuta economica e sociale del Paese e le sue prospettive future.

Il Comitato Onu sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza considera del resto quella italiana una vera e propria segregazione educativa su base regionale, caratterizzata da scarsa attenzione politica e bisognosa di una energica inversione di rotta, che possa attenuare, se non azzerare, disparità di spesa e programmare investimenti strutturali in grado di recuperare al rango di cittadini studenti e docenti, a prescindere dal Comune o dalla regione di nascita o di residenza. Il mancato diritto all’istruzione – di fatto inattuato con 88 euro l’anno di spesa pubblica per un bambino calabrese, contro i 2.209 euro l’anno a Trento – e la sua sperequazione territoriale hanno relegato l’Italia agli ultimi posti della classifica Ocse per investimenti nel settore, finendo per rendere il Mezzogiorno un territorio dalle percentuali minime europee rispetto a formazione, reddito ed occupazione, ma anche rispetto a salute ed aspettativa di vita. Due voci, queste ultime, strettamente dipendenti dalla reale possibilità di studio e crescita culturale.

I capitoli sono tanti e tutti ugualmente necessari alla realizzazione di un diritto effettivo allo studio, così come abbiamo imparato a conoscerlo anche in tempi di pandemia. Gli edifici scolastici, innanzitutto. Sui quali è ricaduta qualche attenzione anche di investimenti negli ultimi anni, senza che però né le tipologie di intervento, né le somme stanziate facessero pensare ad un’azione di sistema in grado di progettare e realizzare lungo l’intero Paese edifici sicuri ed efficienti. A pagare il presso più alto è stato ancora una volta il Mezzogiorno, che pur restando tra i territori interamente e maggiormente esposti al rischio sismico, continua a registrare una percentuale di certificazioni di agibilità strutturale ed igienico-sanitaria, collaudo e prevenzione incendi oscillante tra il 15 ed il 18%, a fronte di una media del 65% del Nord.

La precaria condizione strutturale si accompagna nel Sud a tassi di dispersione e abbandono scolastico praticamente doppi rispetto a zone del centro-Nord, con tecnologia e ore di lezione effettive, tempo pieno ed insegnanti di sostegno, mense e abbattimento delle barriere architettoniche a loro volta del tutto insufficienti. Ogni insegnante del Sud ha al proprio attivo ben 10 studenti in più rispetto ad un collega del Nord, ma mentre al Sud solo il 28% dei docenti può contare su un contratto a tempo indeterminato, al Nord si sale al 39%.

Anche l’offerta quantitativa di ore di lezione varia da regione a regione, con un tempo pieno praticamente inesistente al Sud, dove agli studenti viene sottratto quasi un anno di istruzione lungo tutto il loro percorso scolastico. Se nel 2019 la Lombardia ha potuto contare su 420 milioni per l’istruzione, mentre la Campania su 85 e la Puglia su 32, non a caso le regioni in grado di assicurare il tempo pieno ad oltre la metà delle classi sono tutte al Nord: Piemonte, Toscana, Lombardia, Emilia Romagna e Liguria oscillano dal 57 al 51% della relativa copertura, con una forbice impressionante rispetto alla Calabria ferma al 28,5%, Campania (22,3%), Puglia (18,7%), Molise e Sicilia, rispettivamente 12% e 11,6%.

Le povertà economiche collegate a quelle educative – chi non ha sufficiente cibo o una casa, frequenta meno e abbandona prima la scuola, ma chi abbandona prima gli studi è a maggior rischio povertà – nel Mezzogiorno scontano anche l’inadeguatezza tecnologica, che sotto pandemia ha condizionato soprattutto al Sud la didattica a distanza, per mancanza di pc e connessioni: la quota di studenti tra 6 e 17 anni che non ha un computer/tablet in casa sale dal 12,3% nazionale (pari a 850mila ragazzi) al 20% nel Mezzogiorno (470mila ragazzi circa). Pesanti le ripercussioni sul mondo del lavoro: secondo l’Istat (2020), nel Mezzogiorno i bassi livelli di istruzione corrispondono ad altrettanti bassi livelli di occupazione, con un divario territoriale nei tassi di occupazione dei laureati di ben 24,9 punti tra Nord e Sud.


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