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IL ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi

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In un Paese duale come il nostro, l’uguaglianza nelle condizioni di partenza – su cui la scuola gioca un ruolo fondamentale – resta un principio sulla Carta, quella costituzionale, e difficilmente trova cittadinanza nei territori meridionali, “complice” l’iniqua distribuzione delle risorse statali tra le regioni sulla base del criterio della spesa storica che continua ad avvantaggiare quelle più ricche del Nord.

Dagli asili nido alla dad imposta dal Covid: ci sono due Italie e il divario nei diritti di cittadinanza si rivela fin dalla prima infanzia, condizionando le opportunità che si potranno giocare “da grandi” per scommettere sul proprio futuro. E il virus ha allungato ulteriormente le distanze tra il Nord e il Sud del Paese sul diritto all’istruzione. Povertà educativa, dispersione scolastica sono due facce della stessa medaglia che vedono il Sud sempre sul podio. Una realtà cui il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, prova a cambiare rotta, «senza aspettare il Recovery Plan».

Dopo lo stanziamento di un miliardo e 125 milioni di fondi del ministero per la messa in sicurezza delle scuole superiori, soprattutto del Sud, Bianchi ha firmato ieri un decreto per il via libera ad altri 62 milioni per l’ampliamento dell’offerta formativa e il contrasto delle criticità provocate dalla pandemia soprattutto nelle aree maggiormente disagiate del Paese (leggi Mezzogiorno).

«È un primo importante intervento per ampliare l’offerta didattica che pone particolare attenzione al contrasto delle povertà educative e della dispersione scolastica: le risorse saranno utilizzate per garantire la maggiore equità, qualità e capacità di inclusione del Sistema nazionale di istruzione e formazione – ha affermato il ministro – Ci saranno altri finanziamenti che ci consentiranno di costruire, anche grazie alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, un grande Piano nazionale sulle povertà educative, per garantire la massima inclusione e pari diritti alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi, indipendentemente dalle loro condizioni di partenza, così come prevede la nostra Costituzione. Questa sarà una delle principali linee strategiche del mio mandato».

In particolare, 40 milioni saranno investiti nel contrasto della dispersione scolastica, l’eliminazione dei divari territoriali, la promozione dell’inclusione e delle pari opportunità. Quasi 22 milioni in progetti per favorire il successo formativo, la piena partecipazione alla vita scolastica di studenti e famiglie, il contrasto del bullismo.

La povertà educativa, ovvero la possibilità negata di apprendere, apprendere, sperimentare, sviluppare talenti colpisce maggiormente i minori del Sud e fin dalla prima infanzia: le prime esperienze formative, ricordava ieri l’Istat nel Rapporto sul benessere equo e sostenibile, hanno effetti positivi sulle abilità comportamentali e investire sull’offerta e sulla domanda di asili nido può, dunque, avere un effetto positivo nel contrasto alle diseguaglianze.

Ma, si sottolineava, non c’è stato negli anni né un investimento adeguato né una partecipazione diffusa alla formazione della primissima infanzia soprattutto nel Mezzogiorno. In un Paese che raggiungendo una percentuale del 28,2% dei bambini tra 0 e 2 anni iscritti all’asilo nido, ancora quindi lontano dall’obiettivo del 33% fissato dalla Ue nel 2010, la distanza tra i dati di Trento (43%) o della Toscana (42,6) da quello della Calabria e della Basilicata (entrambe al 17,3%) misura il divario territoriale.

Dati che possono trovare una “giustificazione” anche nello studio di Ifel della della Fondazione Anci sulle “Capacità fiscali e fabbisogni standard” che mostra i risultati – iniqui – dell’applicazione del federalismo fiscale e della ripartizione dei finanziamenti statali: in Emilia Romagna l’80% dei Comuni ha attivato il servizio pubblico di asili nido, in Toscana il 70%, in Lombardia il 43%.

In Calabria, invece, appena il 10%, in Campania il 12%, in Basilicata il 19%, un po’ meglio la situazione in Puglia con il 30% ma, comunque, sotto la media nazionale che è del 35%. E per ogni bambino da 0 a 5 anni un sindaco calabrese può investire, mediamente, circa 126,8 euro per garantire i servizi per l’infanzia, che diventano mediamente 1.286 in Emilia Romagna, invece, 1.161 in Toscana.

Se nell’arco di un decennio il tasso della dispersione scolastica si è ridotto, passando dal 20% nel 2006 al 13% resta una forte disomogenea a livello territoriale: si passa dall’8% del Veneto al 23% della Campania e al 24% della Sardegna. Un numero per tutti racconta un fenomeno che resta drammatico, come ha rilevato anche il ministro Bianchi: dei 515mila ragazzi che nel 2014 hanno sostenuto l’esame di licenza media, 5 anni dopo ne troviamo solamente 350mila all’ultimo anno della secondaria di secondo grado.

La pandemia ha messo ulteriormente a fuoco i divari territoriali, contribuendo allo stesso tempo ad aggravarli: basti pensare al digital divide, l’accesso a internet che nel Mezzogiorno vede esclusa una percentuale di popolazione maggiore rispetto al resto del Paese e che ha condizionato la possibilità degli studenti meridionali di usufruire della didattica a distanza imposta dalle restrizioni anti Covid: secondo l’Istat, il 41,6% delle famiglie meridionali non ha un computer in casa (con Calabria e Sicilia in testa rispettivamente con il 46,0% e il 44,4%), rispetto a una media di circa il 30% nelle altre aree del Paese, e solo il 14,1% ha a disposizione almeno un computer per ciascun componente.

Stringendo l’obiettivo sui ragazzi dai 6 ai 17 anni, se il dato italiano ne lascia fuori dal web il 12,3%, al Nord questa percentuale si attesta al 7,5% e al Centro al 10.9%, mentre il Mezzogiorno registra il primato del 19% (470.000 minori). Se poi si considera la disponibilità di una connessione a banda larga, gli studenti meridionali risultano ancora una volta penalizzati: se il 77,9% dei minori nella fascia 6-17 anni vive in famiglie che ne dispongono, al Sud la percentuale scende al 73%, al 64% nelle Isole. Insomma, anche la Dad al Sud è un miraggio.

E le conseguenze sulla formazione possono desumersi anche dalla possibilità di frequentare in presenza che secondo i dati di Save the Children è stata maggiore per gli studenti del Nord rispetto a quelli del Sud: guardando soprattutto alle grandi città, su 107 giorni di apertura teorica della scuola, gli istituti sono rimasti aperti 108 giorni a Roma, 107 a Milano, 53,6 a Napoli, 8 a Bari.


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