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Circa 400 posti in più nelle facoltà di Medicina al Sud: un primo segnale di inversione di rotta arriva con la pubblicazione dei decreti del ministero dell’Università con i quali è stata stabilita l’offerta formativa per il prossimo anno.

L’emergenza Covid ha messo in evidenza tutte le pecche di un sistema sanitario nazionale che, negli ultimi 10 anni, ha ridotto all’osso le piante organiche, in particolare quelle degli ospedali del Mezzogiorno. La lezione sembra essere stata assorbita, infatti per l’anno accademico 2021/2022 si passa da 13.072 posti dello scorso anno agli attuali 14.020, +7,3%, 948 in più.

Le Regioni avevano avanzato una proposta di 14.332 posti ma il risultato è comunque positivo. E il maggior aumento riguarda proprio il Sud, in particolare è in Puglia che l’offerta viene decisamente potenziata: la differenza tra lo scorso anno accademico e il prossimo è di 225 posti in più (+45,2%), grazie anche all’attivazione di altre due facoltà di Medicina: alla Lum di Casamassima (90 posti) e a Lecce (55). Nuove sedi sono previste anche a Potenza, 60 posti, e a Rende (Cosenza), 54 posti.

Certo il divario con il Nord resta ma si assottiglia sensibilmente: ad esempio l’Emilia Romagna perde 7 posti, la Toscana resta ferma a 897 posti complessivi, Liguria e Veneto potenziano l’offerta solamente di 15 posti, mentre la Lombardia ne attiva 316 in più (+17,3%).

Dopo la Regione di Fontana, c’è proprio la Puglia (+225), seguono Lazio (+75), Calabria (+74), Basilicata (+60), Sicilia (+58), Campania (+51), Molise (+4) e Abruzzo (+30). Nei tre decreti approvati viene evidenziato che si tratta di posti provvisori, in quanto è ancora atteso l’Accordo Stato-Regioni, atto che per legge si dovrebbe concludere entro il 30 aprile.

Ma la necessità per il ministero dell’Università di rispettare la scadenza dei 60 giorni – che devono precedere le date degli esami di ammissione del 3 settembre – ha indotto i funzionari a pubblicare sia i decreti sulle modalità degli esami di ammissione che dei posti che le Università potranno subito inserire nei rispettivi bandi. Resta quasi stabile l’offerta formativa per Odontoiatria, che passa da 1.231 a 1.239 (solo +1,8%), mentre complessivamente Veterinaria perde 13 posti, passando da 890 a 877.

Se i posti saranno confermati, per il Mezzogiorno finalmente ci sarebbe un buon passo in avanti nella formazione dei nuovi medici, “merce” sempre più rara da Roma in giù. Senza contare che vorrebbe dire anche aumentare la forza attrattiva delle Università del Mezzogiorno, far convogliare molti giovani verso Bari, Napoli, Cosenza, Potenza e convincerne altrettanti a restare al Sud senza dover cercare fortuna altrove.

Infine, elemento non trascurabile, le Regioni del Sud formerebbero nuovo personale per i loro ospedali sempre più vuoti, a patto che vengano messe nelle condizioni di “trattenere” i giovani medici.  Nel comparto sanità, al Nord, per ogni mille abitanti ci sono 12,1 dipendenti tra medici e infermieri, ma anche tecnici di laboratorio, amministrativi, operatori socio sanitari.

 Al Sud la media si abbassa drasticamente, sino a 9,2 dipendenti ogni mille residenti. Se la Puglia avesse avuto le stesse risorse dell’Emilia Romagna e avesse, quindi, potuto mantenere lo stesso rapporto dipendenti/residenti, oggi avrebbe 16.662 medici, infermieri, amministrativi in più. In Puglia, infatti, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, non parliamo della Lombardia dove si sfiora le 100mila unità.

La Campania, che fa 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari, persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato al lavoro nella sua sanità.  Come si può chiedere alla Puglia, a quasi parità di popolazione, di riuscire a svolgere lo stesso numero di esami e visite mediche che si riescono a fare in Emilia Romagna che ha 22mila lavoratori in più? Non solo: dal 2012 al 2018 l’Italia ha “perso” oltre 42mila operatori sanitari, tra medici e infermieri e altre figure ospedaliere, e il record spetta ancora una volta ad una regione del Sud.

È infatti la Campania ad aver dovuto fare a meno di 10.490 dipendenti sanitari, in pratica gli ospedali si sono svuotati di dipendenti. Colpa della spending review, ma soprattutto del blocco del turn over, che ha impedito di sostituire chi andava in pensione o si trasferiva altrove.

La Campania non è l’unica danneggiata, basti pensare che la Calabria di operatori sanitari ne ha persi 3.889, il piccolo Molise 1.027, la Puglia 2.229. Anche il Nord Italia ha visto una contrazione di dipendenti ospedalieri, ma ben più contenuta: per fare un rapporto, gli organici della Lombardia si sono ridotti di 2.888 lavoratori, un quinto rispetto alla Campania, meno della Calabria e poco più della Puglia.

Non solo: la Lombardia, dal 2012 al 2018, non ha perso medici, anzi quelli sono aumentati: +290, mentre la Campania ha visto andar via 1.739 camici bianchi, la Puglia 374, il Molise 204. Anche il Veneto ha conosciuto una riduzione degli organici di 1.924 operatori sanitari, ma i medici “persi” sono stati solamente 73. La Toscana, come la Lombardia, ha potenziato il numero di medici: +97. L’Emilia Romagna ha limitato i danni con -1.328 dipendenti e -102 medici. La Campania ha anche il record, poco invidiabile, di infermieri persi: -3.251.


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