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Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ieri in visita alle Fosse Ardeatine

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L’INCONTRO di Bruxelles fra i capi di governo di giovedì scorso ha stabilito alcuni principi fondamentali per uscire dal pantano in cui tutti siamo finiti, imponendo a ciascun paese di dichiarare in modo esplicito le proprie intenzioni, sia per come gestire l’emergenza, sia di come rilanciare l’economia. La pandemia ha portato alle stelle i problemi di ciascun paese e i nostri prima di tutti, avendo non solo il problema di un carico di indebitamento che ci portiamo dietro da almeno vent’anni, ma anche di una crescita che resta anemica e quindi incapace di generare un’occupazione degna di un paese civile.

Fra i diversi motivi di questo stato di cose da tempo tutti avevamo individuato il continuo stratificarsi di norme in un paese che da una parte parla di autonomie e dall’altra continua a legiferare e a normare i singoli comportamenti, come se ognuno di noi dovesse muoversi con la briglia al collo. Il principio che poco alla volta è maturato in queste settimane, e che finalmente giovedì scorso ha fatto capolino nelle aule di Bruxelles, è che l’Unione dovrà mettere molte risorse per superare questa crisi drammaticissima, in cui il collasso dei paesi più esposti può tramutarsi nel crollo dell’intera costruzione europea, ma anche che i singoli paesi debbono dichiarare ex ante come spenderanno queste risorse aggiuntive. Per l’Italia questa è la vera opportunità che questa tragedia ci propone. Quale Paese vogliamo, quale Italia deve uscire da questa immane tragedia è la domanda che dobbiamo porre a noi stessi per poterci rivolgere ai partner europei con dignità e con la possibilità di ricevere risorse che possano effettivamente essere impiegate per rilanciare la nostra economia e ritrovare una nuova unità nazionale.

In questo periodo si è spesso paragonata questa congiuntura ad uno stato di guerra e quindi ad un dopoguerra da gestire per uscire dalle macerie. Si vadano allora a vedere gli Atti della Costituente, cioè i documenti preparatori di quel monumento delle libertà che è la nostra Costituzione repubblicana, atti che si possono leggere sul sito della Camera dei Deputati. Si veda con quanta forza i nostri padri costituenti disegnavano il Paese Nuovo per cui avevano combattuto, come rendevano chiaro nelle loro parole che i diritti di ognuno si realizzavano solo nel diritto di tutti, ma anche come questo diritto dovesse trovare forza e tutela in leggi chiare volte a semplificare la vita collettiva, come base stessa della fiducia di ognuno nello Stato. Roberto Napoletano richiamava ieri questi principi nella sua lettera al Presidente Conte, invitandolo ad assumersi l’onere di proporre una netta semplificazione del nostro apparato normativo, da unire ad una visione del Paese Nuovo in cui il primo mandato è unire un Paese spaccato e diversamente segnato non solo dal coronavirus, ma anche da anni e anni di investimenti pubblici e privati ben diversi fra i nostri territori.

Occorre definire quali investimenti fare per ridurre le diseguaglianze fra le diverse aree del Paese; non solo le strade e i ponti, ma le scuole sono una infrastruttura fondamentale per rilanciare l’economia di un Paese avanzato e per consolidare la società di un Paese civile. Diviene necessario decidere quindi quante risorse il Paese vuole investire non solo per riprendere la scuola a settembre, ma per avere una scuola che sia il pilastro di una nuova ripartenza, avendo ben chiaro che quest’ultima deve valorizzare le specificità di ognuno, ma anche integrare di più i diversi territori che compongono un’Italia che voglia essere riferimento di una nuova Europa.


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