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La Sede del ministero delle Finanze

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Mentre il coronavirus monopolizza l’attenzione e la preoccupazione mondiale, in Italia c’è un’altra battaglia non meno virulenta che anima il retroscena politico: le nomine pubbliche.Almeno quattrocento nei prossimi mesi.

Ed è su questo snodo che si sta consumando lo scontro sul dcpmcon cui in via XX Settembre fanno resuscitare il ministero delle Partecipazioni Statali. Una partita che, a quanto si sussurra, vede Gualtieri e il direttore generale del Alessandro Rivera sempre più isolati. Sembrano aver perso la sponda del Pd (partito che esprime il ministro) anche se conservano quella del premier Conte.

Sono accusati di eccessivo accentramento con poche scelte condivise. Si era già visto con la gestione degli ottanta miliardi dell’emergenza sanitaria. Ora la partita si ripete per quanto riguarda il futuro delle partecipate pubbliche con la trasformazione dello Stato da semplice azionista a socio. Il dcpm per com’è formulato non dovrà passare al vaglio delle camere. Prima però deve ricevere la firma del Presidente Conte che ha avviato una delicata mediazione puntando su candidature di assoluto valore. La ricerca però non è semplice.

La posta in palio è alta. Quattrocento poltrone in quella giungla che, una volta, veniva chiamato spregiativamente sottopotere. Presidenti, amministratori delegati e consiglieri d’amministrazione di aziende non sempre di primissimo piano. Ma proprio perché lontano dai riflettori si tratta di potere vero, potere profondo perché lontano dai riflettori.

Tutto molto diverso dalle nomine nei grandi gruppi quotati in Borsa come Eni, Enel, Leonardo, Poste. Aziende che, per la loro dimensione e visibilità attraggono l’attenzione dell’opinione pubblica. Certo anche in questo caso la fame del clientelismo si può esprimere come dimostra l’en plein di presidenze ottenuta dai Cinquestelle. Ma sui capi azienda è difficile utilizzare criteri a geometria variabile.

Ma appena si spengono le luci tutto diventa più facile. Basti pensare alle aziende controllate dai grandi gruppi pubblici quotati in Borsa. Ad esempio, le partecipate di Leonardo sono sei con trentuno incarichi di vertice, altrettante le partecipate delle Poste con ventisette nomine in prospettiva. E al Monte dei Paschi, controllato al 68% dal ministero dell’Economia, le partecipate sono addirittura venti per un totale di novanta incarichi. E via così. Per esempio le dieci controllate del gruppo Fs che, in questo momento, rappresenta, la più importante stazione appaltante del Paese.

Il piano industriale prevede 58 miliardi di investimenti per i prossimi cinque anni. Sotto ci sono una decina di società operative: da Rfi a Italferr, da Mercitalia e Busitalia e via elencando. E che dire di Amco, la ex Sga che dovrà gestire circa dieci miliardi di finanziamenti di Mps andati a male. Poi ci sarà da scegliere i vertici della Nuova Alitalia. Uno scontro senza quartiere che sta condizionando la nascita della nuova compagnia aerea dove lo Stato pensa di investire tre miliardi. E infine la madre di tutte le nomine: la nuova governance di Consip. In altri tempi, per molto meno, ci sarebbe stata una bella crisi di governo.


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