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Il grande piano dell’autostrada nazionale in fibra ottica è finito ieri mattina. Open Fiber e Tim, infatti, hanno annunciato l’intenzione di sfidarsi in tribunale a colpi di risarcimenti miliardari. Non certo la maniera migliore per parlare di matrimonio. Anzi, a questo punto è facile immaginare che il programma, ammesso che sia mai esistito, non si parlerà più per molto tempo. Le esternazioni di Grillo della scorsa settimana hanno contribuito ad infiammare l’ambiente. Aveva chiesto (chissà poi a quale titolo visto che si tratta di un semplice cittadino) l’immediata nascita di una rete unica per internet mettendo insieme gli impianti di Open Fiber e di Tim. Le duplicazioni, infatti erano solo fonte di sprechi.

Tanto più che Open Fiber si è rivelata, secondo il garante Cinquestelle, un completo fallimento. Ovviamente i responsabili della società non l’avevano presa bene. Ieri sono passati al contrattacco con una iniziativa che seppellirà per molto tempo la rete unica. Open Fiber ha fatto sapere che già a marzo aveva presentato denuncia contro l’ex monopolista. Chiedeva 1,5 miliardi di risarcimento danni per abuso di posizione dominante.

La risposta non si è fatta attendere. Fonti vicine a Tim trovano “risibili” le argomentazioni di Open Fiber e fanno sapere che a loro volta stanno preparando azioni legali per concorrenza sleale. La richiesta di risarcimento danni di importo equivalente se non superiore. Il botta e risposta tra le due società spinge il titolo di Tim in calo in chiusura: cede il 3,48% tornando sotto quota 0,35 euro.

Che fra le due aziende non corresse buon sangue si era capito nelle scorse settimane visto il battibecco sul modello di rete unica da adottare. Open Fiber voleva adottare la sua governance rete aperta in cui tutte le compagnie telefoniche potessero avere accesso.

Tim, invece, faceva le barricate: voleva essere l’azionista di maggioranza della società che sarebbe nata dalla fusione con Open Fiber. Una posizione che l’ex monopolista ha sempre difesa. La rete è il suo asso nella manica. Se ne fosse privata diventerebbe una compagnia telefonica come le altre. Inoltre la rete è la garanzia di fatto al suo enorme indebitamento. In questo clima già incandescente sono piovute, la scorsa settimana le dichiarazioni di Beppe Grillo. E’ stato come versare benzina su un incendio. La posizione più scomoda, ovviamente, è quella di Cdp che è azionista al 50% di Open Fiber è al 5% di Tim con la possibilità di arrivare al 10%. Insomma lo Stato che fa causa a se stesso.

L’intervento di Grillo aveva destato molta sorpresa. Una incursione non nuova considerando che l’embrione del M5s si era manifestato nel 2010 proprio nelle assemblee di Telecom Italia. Anche allora il tema centrale era costituito dalla rete.

“Anni fa – ricorda Grillo – scrissi che non poteva esistere un vero mercato se chi possedeva la rete erogava anche i servizi (per intenderci Telecom). Arrivai alla conclusione che la rete dovesse rimanere in mani pubbliche o, almeno, essere soggetta al controllo dello Stato con una partecipazione rilevante. Visto quello che è successo con Open Fiber, mi sento di dire che il male minore, in questo momento difficile per il Paese, può essere quello di avere un’unica infrastruttura, anche privata ma aperta a tutti, purché sia in grado di fare gli investimenti necessari”.

Secondo Grillo Cdp deve rafforzarsi in Tim” e visto che “le azioni Tim sono ai minimi storici, dalla posizione di forza di Cdp, proporre ai francesi di vendere”.
Il risultato di queste parole è stato esattamente opposto alle intenzioni. Il progetto della rete nazionale si è arenato. A questo punto ciascuno dei due gruppi continuerà per la sua strada. Enel, azionista al 50% di Open Fiber ha sul tavolo l’offerta del Fondo Macquarie per acquistare la partecipazione. Tim sta trattando con Kkr per vendere un pezzo della rete. Mettere insieme i pezzi sarà sempre più difficile.


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