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Il presidente del consiglio Giuseppe Conte durante il summit di Bruxelles

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Alla fine ovviamente si chiuderà, forse al ribasso, ma si chiuderà. I cosiddetti Paesi Frugali otterranno che il Recovery Fund abbia una sforbiciatura di qualche miliardo di euro e tutti dichiareranno la loro vittoria. Noi diremo che abbiamo vinto sui paesi frugali, cattivissimi e tirchi nordici, attenti ai pochi euri in più, senza una visione europea che, approfittando delle mancate regole in tema di armonizzazione fiscale, rubano società e imposte ai paesi mediterranei. Ci sono però dei buoni motivi per considerare la posizione di tali Paesi non proprio irrazionale. E la loro volontà di entrare nelle governance dei Paesi che saranno destinatari dei fondi assolutamente giustificabile, anche se assolutamente inattuabile. Devono dimostrare ai loro elettori che non si stanno facendo prendere in giro dai paesi “spendaccioni”.

Perché come è successo con la Grecia, che da un lato chiedeva aiuto e dall’altro concedeva ai propri dipendenti pubblici vantaggi inusitati, qualche peccatuccio anche noi ce lo dobbiamo fare perdonare. Magari allora si esagerò con la cura da cavallo imposta, e con gli interventi della troika, ma è anche vero che adesso, grazie anche a quegli interventi, la Grecia ha ricominciato a crescere. Tra i peccati da farci perdonare c’è quello del sistema pensionistico. Se andiamo a vedere per esempio l’età pensionabile in Italia servono in media 31.6 anni di lavoro, in Austria ne servono 37.5, in Danimarca 39.9, in Olanda 40.5 ed in Svezia 41.9. E ci siamo consentiti solo qualche anno fa di varare quota cento, che abbassava ulteriormente l’età pensionabile.

Pensate che sia legittima la domanda che si pone uno svedese che, oltre a vivere con un clima pessimo, in media lavora 10 anni in più di un italiano, del perché deve caricarsi di ulteriori imposte per aiutare Paesi, che é vero hanno subito maggiormente la epidemia del Covid, ma che anche si consentono, con debiti pubblici enormi, di avere una qualità della vita migliore lavorando meno? E pensate sia legittimo pretendere da parte degli europei, che destinano risorse importanti per eliminare i divari tra territori, con una delle più importanti politiche dell’Unione, chiedersi come mai per il Mezzogiorno d’ItaIia tutto ciò non funzioni?

Avranno anche sentito che il nostro Paese, con il gioco delle tre carte, sostituisce i fondi aggiuntivi con quelli ordinari che non dá? E che invece di collegare Berlino ad Augusta costruendo quel corridoio che avrebbe permesso anche risparmi di emissione di Co2, da parte delle navi maxi porta containers, che girano il Mediterraneo e l’Atlantico come trottole, ha fermato l’alta velocità/capacità a Salerno? O pensiamo che a Bruxelles tutto questo non sia noto e che i Paesi Frugali non sappiano perfettamente quello che accade da noi? Forse non sarà sfuggito nemmeno l’articolo 47 del Decreto legge “ semplificazioni” approvato dal consiglio dei ministri nella seduta del 7 luglio “ salvo intese” e pubblicato il 17 luglio, che permetterebbe di utilizzare le risorse destinate al Mezzogiorno per risolvere le emergenze dell’intero Paese, come ben ha evidenziato Ercole Incalza, nel pezzo di domenica.

Secondo la logica che invece di sostituirsi alle Regioni inadempienti, lasciando il vincolo di destinazione, si puniscono, invece che gli incapaci che non riescono a fare il proprio lavoro, cioè le amministrazioni regionali, i territori che vengono privati delle risorse a loro destinate. Per questo le condizionalità che tanto preoccupano i Cinque Stelle e che forniscono materia di propaganda elettorale a Salvini ed alla Meloni, forse le dobbiamo invocare piuttosto che temere. Perché certamente le classi dominanti estrattive meridionali, in accordo scellerato con le classi dirigenti del Paese, hanno permesso che le risorse comunitarie, fossero servite ad alimentare le clientele, alcune criminali, invece che a perseguire il bene comune. D’altra parte se fossero state ben spese e non fossero state sostitutive di quelle ordinarie, un minimo effetto sul mercato del lavoro del Sud lo avrebbero avuto.

Ed invece gli occupati sono fermi a sei milioni e centomila, compresi i sommersi, da oltre 10 anni. L’occasione ora è troppo ghiotta, per il Paese che conta, per non trovare modi e sistemi per drenare più risorse possibili verso la cosiddetta locomotiva. Infatti da Bonaccini a Sala, da Bonomi a Boeri, da Cottarelli alla De Micheli, il fuoco di fila sull’esigenza di far ripartire il motore del Paese è ampia e trova sponde nella politica, nella stampa, nei media, ma anche nei centri di ricerca universitari. Mentre la risposta del Sud è molto debole e frammentata. Proposte alternative rispetto all’utilizzo delle risorse non spese dei fondi comunitari da parte del Sud non se ne vedono. Visto che siamo vicini ai 40 miliardi utilizzabili qualcuno potrebbe anche proporre di completare l’alta velocità da Salerno ad Augusta, che costerebbe più o meno tanto, mettendoci dentro anche l’attraversamento stabile con il ponte sullo stretto. Invece vi è un atteggiamento assolutamente passivo, senza alcuna reazione degna di questo nome, né da parte della popolazione, rassegnata è distratta, ne da parte dei ceti politici che ritengono questa una battaglia estranea rispetto agli interessi di bottega.

Né i governatori del Sud si coordinano per organizzare una forma di resistenza rispetto ad una logica che li vede soccombenti. Un canovaccio che si ripete e che vede i territori meridionali perdere risorse, che il  Paese ha solo perché esiste il Sud. Per questo l’unica salvezza per il Mezzogiorno può venire da un controllo da parte dell’Unione, che obblighi a determinati risultati e faccia partire procedure di infrazione quando non si raggiungono. Altro che evitare le condizionalità. 


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