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Bankitalia striglia il governo. «Bisogna fare presto» è il messaggio lanciato dal capo del Servizio Struttura economica di via Nazionale, Fabrizio Balassone, che, in audizione alla Camera, ha puntato il dito sui ritardi nell’attuazione del Piano nazionale di Riforma. Il Pnr che contiene anche il Piano per il Sud, delinea le priorità a cui si deve ispirare la piattaforma programmatica da presentare all’esame di Bruxelles per avere accesso al Recovery Fund. Ma al momento le riforme sono al palo tant’è che Balassone ha insistito sulla necessità, quale «sfida del governo», di «dare contenuto attuativo alle indicazioni contenute nel Pnr garantendo efficacia, efficienza e rapidità degli interventi».

Le linee di intervento tracciate nel Piano di riforma, dovrebbero affrontare le debolezze strutturali del Paese e sono articolate lungo 3 direttrici: la modernizzazione (digitalizzazione, efficienza delle infrastrutture; formazione, ricerca e innovazione, efficienza dell’amministrazione e della giustizia); la transizione ecologica; l’inclusione sociale e territoriale e la parità di genere.

Balassone fa notare che i «dettagli forniti non consentono ancora la formulazione di un giudizio compiuto». Neppure l’impegno finanziario è stato quantificato, «ma sarà inevitabilmente rilevante». Ci sono troppe zone d’ombra.

Quindi se l’obiettivo è attivare prima possibile il Recovery Fund, il governo non sta procedendo con la tempestività che si richiederebbe. Eppure la situazione è da allarme rosso. Senza considerare lo scostamento di bilancio proposto dal governo e le risorse anticrisi europee, si prefigura una caduta del Pil per quest’anno, del 9,5% e una ripresa parziale nel biennio successivo (+4,8% nel 2021 e +2,4% nel 2022). Ma qualora ci fosse una seconda ondata epidemiologica, lo scenario potrebbe essere più drammatico. A quel punto il Pil rischia di subire un calo anche di oltre il 13% e recuperare in misura più contenuta nel 2021. Nei primi cinque mesi del 2020 il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche è stato di 68,5 miliardi, oltre il doppio del corrispondente periodo 2019. A maggio il debito delle Pa ha superato 2.500 miliardi; rispetto a fine 2019 è aumentato di circa 98 miliardi. Rispetto al 2019 il deficit aumenterebbe di oltre il 10% del prodotto, il rapporto tra debito e prodotto di quasi il 23.

Un’analisi più cupa è venuta dal presidente dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, che sempre in audizione sul Pnr, ha parlato di «forti peggioramenti dei saldi di finanza pubblica rispetto allo scorso anno, destinati ad aumentare anche per i nuovi interventi attesi». Questo quadro nasce alla luce delle informazioni disponibili. Pisauro ha messo il dito nella piaga, ovvero sui finanziamenti a deficit di tutte le operazioni effettuate finora dal governo. Saltato il Patto di Stabilità, con il Covid, i vari decreti legge di intervento a sostegno dell’economia e di tipo assistenziale hanno sforato tutti i parametri europei dell’equilibrio di bilancio. Secondo le stime dell’Upb, «il deficit risulterebbe più elevato di quello previsto dal Governo, in misura di poco superiore al mezzo punto percentuale di Pil». Il rapporto tra il debito e il Pil, invece, «risentendo delle varie determinanti e in particolare del più sfavorevole contributo dell’andamento negativo del prodotto, potrebbe essere più elevato di circa tre punti percentuali. Con lo scostamento di cui si richiede l’autorizzazione, il debito rischia di superare il 160% del Pil».

Su questo punto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha lanciato messaggi rassicuranti. Il responsabile della politica economica del governo ha prospettato un cambiamento di rotta in direzione di un miglioramento dei saldi di bilancio. «A partire dalla nota di aggiornamento al Def il governo elaborerà una strategia di rientro dall’elevato debito pubblico – ha detto – che punterà a una crescita economica assai più elevata che in passato e fisserà degli adeguati e sostenibili obiettivi per i saldi di bilancio quando cominceremo a raccogliere i frutti di quanto ci apprestiamo ad avviare con il Recovery Plan». Dove arriveranno i soldi per ripianare il buco del debito di questi mesi non è stato specificato. Ma dal momento che le stime per la crescita volgono a un pesante segno meno, che il gettito fiscale è diminuito a causa della crisi, il sospetto è che si ricorrerà all’introduzione di maggiori imposte. I fondi del Recovery Fund arriveranno, se tutto filerà liscio, a metà del prossimo anno. I mesi che ci separano all’aiuto europeo, saranno una traversata nel deserto. A meno che il governo non decida di chiedere il Mes. Pochi giorni fa, secondo alcune indiscrezioni, nel corso di una capigruppo Gualtieri avrebbe detto che il Tesoro potrebbe avere difficoltà a pagare stipendi e pensioni. Immediata la smentita da via XX Settembre ma il sospetto resta.

Proprio in risposta alle voci di nuove tasse, Gualtieri, in audizione, ha voluto sottolineare che «non ci sarà nessuna patrimoniale sugli immobili». E «non ci sarà una doppia plastic tax» europea e nazionale, bensì «un lavoro per una razionalizzazione e per evitare oneri eccessivi per le imprese».

Nel nuovo decreto di agosto dovrebbero arrivare i provvedimenti che si attendevano da tempo, con grave ritardo. Gualtieri ha prospettato aiuti per «automotive, turismo e ulteriori misure a sostegno della crescita», ma anche interventi «sulla questione del terremoto e sulla questione pertinenziali» delle spiagge, confermando anche lo sblocco di investimenti per gli enti locali per circa 5,5 miliardi. Le misure a favore del turismo arriveranno a stagione inoltrata. Risorse per 1,3 miliardi andranno alla scuola per l’avvio del nuovo anno scolastico. Per il lavoro, come annunciato dal ministro, ci sarà la proroga di 18 settimane della cassa integrazione ma in modo più selettivo. Sarà chiesto, a quelle che possono, un contributo a questo strumento.


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