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I governatori di Veneto e Lombardia, Zaia e Fontana

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Sessanta miliardi in meno al Sud, ogni anno. Questo l’importo che viene sottratto ai cittadini italiani/meridionali con la spesa storica. Questo il dato che va assolutamente contestato da parte delle lobbies degli interessi della sinistra tosco emiliana con le propaggini dei comuni di Milano e Bergamo e della destra leghista lombardo veneta. I centri studi, gli studiosi, gli accademici, la commissione appositamente costituita da Zaia, avranno modo di analizzare la cifra e la logica di tale impostazione.

Malgrado lo stato della sanità, della scuola, delle infrastrutture stradali e ferroviarie, conseguenza anche del minore importo destinato di risorse nazionali, bisogna a tutti i costi dimostrare che tale evidenza è falsa, che in realtà il Mezzogiorno è stato invece sovra assistito, che le risorse sono state non abbondanti, ma assolutamente enormi e che il Sud è solo un enorme pozzo, che assorbe ed inghiotte fondi che il generoso Nord concede. Che in realtà è solo una palla al piede di quell’italia operosa e lavoratrice, che ha sempre dato e che ora è stanca di continuare a farlo. Anche se i dati sono quelli della Corte dei Conti, dell’Istat e non di un centro studi periferico, bisogna trovare il modo di contestarli. Povero agnello che sporca l’acqua del lupo, che sta in alto. E che vorrebbe dimostrare che normalmente l’acqua scende verso il basso.

Troppo comoda è stata la possibilità di avere una colonia, che per tanti anni è servita da mercato di consumo, che ha dato risorse formate quando servivano, la cui dimensione demografica può essere giocata sui tavoli internazionali per poter dire che siamo un grande Paese, con 60 milioni di abitanti, e che quindi è giusto dare l’Expo internazionale a Milano, le Olimpiadi invernali a Cortina/Milano, l’agenzia del farmaco persa ma richiesta da Milano, il tribunale dei brevetti a Milano e l’agenzia dell’innovazione a Torino.

La forza di fuoco dei quotidiani, dei media, dei ricercatori asserviti, delle istituzioni nazionali silenti rispetto a tali problematiche, dei dati medi che nascondono i due Paesi è talmente ampia che non sarà certo il Quotidiano del Sud a svegliare coscienze e politici. Anche se ormai il gruppo di chi vuole vederci chiaro diventa un po’ più ampio ed alcuni, prima silenti e distratti, cominciano a svegliarsi, la reazione sarà tale da andare avanti ancora per qualche anno.

In attesa che le pietre, che finora sono state zitte, parlino. Con lo stato delle ferrovie, della scuola, della sanità al Sud, con lo spopolamento dei territori, con un mercato di consumo sempre più contenuto. Ma sopratutto con una sempre maggiore marginalità di un Paese, che non valorizza la sua posizione di piattaforma logistica del Mediterraneo, che perde i grandi traffici marittimi a favore di Rotterdam ed Anversa, che perde il primato per presenze turistiche in Europa, che non riesce a crescere ai ritmi degli altri partner europei, che continua a non capire che mettere a regime un terzo del territorio non è un favore che viene fatto ai “cafoni” meridionali ma una strada obbligata per tutto il Paese.

Per contestare le evidenze che negli ultimi mesi sono diventate le basi per qualunque discorso sul Sud bisogna negare che vi siamo gli stessi diritti di cittadinanza. Ed affermare che ognuno debba gestire le risorse che produce. Se la base di partenza diventa questa non vi è alcuna sottrazione di risorse. È infatti noto che ogni anno risorse prodotte nel Nord del Paese vengono destinate al Sud. Che il saldo è certamente tale per cui l’affermazione che il Sud sia assistito è corretta. Un ragionamento che sarebbe valido se fatto tra Stati diversi, che diventa pretestuoso se fatto tra Regioni e che metterebbe in discussione i principi fondanti della Costituzione.

In particolare l’articolo tre che al primo comma stabilisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di razza, di lingua, di condizioni personali e sociali. Accettato il principio che le risorse vengono utilizzate da chi produce dovremmo dare servizi migliori alle aree ricche delle città, che hanno un reddito pro capite più elevato a scapito delle periferie dove, normalmente abitano i più poveri. È quello che si è fatto con il Mezzogiorno negli ultimi anni e che si voleva statuire con la richiesta di autonomie differenziate, fatte approvare con dei referendum ai lombardi ed ai veneti con il mantra “non vogliamo più mantenere il Sud”.

Il principio se attuato prevederebbe che malgrado i doveri di ogni cittadino sia come contribuente che rispetto alla sicurezza del Paese siano uguali, in realtà poi abbia diritti diversi se nato a Reggio Emilia rispetto a Reggio Calabria, per cui in un caso ha diritto agli asili nido ed ai scuolabus gratuiti, nell’altro invece no. In realtà se confrontiamo i diritti degli svedesi e degli italiani rispetto allo Stato sociale ci accorgiamo che in Svezia essi sono molto più ampi che in Italia. Il concetto era di fare in modo che si ripetesse tale situazione in Italia, per esempio tra Emilia Romagna e Sicilia.

Se ai “cafoni” meridionali avessimo chiesto perché andavano a combattere sul Carso ed a difendere aree che parlavano dialetti diversi la risposta sarebbe stata “vado a difendere i confini del mio Paese”. Aree che avevano un clima diverso dal suo di origine ma che avevano la stessa bandiera e lo stesso inno. Se adesso si vuole mettere in discussione l’Unità nazionale lo si può fare. La Cecoslovacchia si è divisa in due parti. La ricca Repubblica Ceca e la povera Slovacchia, entrambi appartenenti all’Unione, vanno avanti con incremento di reddito che vedono la già povera Slovacchia avere tassi di crescita più elevati. Mentre la Germania in una visione ampia ha deciso la riunificazione tra le due parti, diventando la potenza economica industriale più importante dell’Europa, assistendo per decenni l’ex DDR, in una visione di rafforzamento del Paese che ha dato già oggi i suoi risultati. Le strade possono essere diverse, ma nessuno pensi di comportarsi come se i Paesi fossero due e poi giocarsi sui tavoli internazionali una dimensione demografica importante. Lo ha fatto fino adesso il Nord, ma il treno ha fischiato, ed anche l’Europa ci ricorda che così non si può andare avanti.


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