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Le risorse in conto capitale inserite annualmente nelle varie Leggi di Stabilità provengono d’ora in poi dai Fondi della Unione Europea; qualcuno esclamerà “roba dell’altro mondo”, io penso sia meglio esclamare “roba dell’altra Europa”. Prendiamo solo le risorse a “fondo perduto”, quelle promesse dal Recovery Fund pari a 81,4 miliardi di euro e quelle relative al Programma di coesione 2021 – 2027 pari a circa 60 miliardi di euro di cui coperti dalla Unione Europea solo per il 20% e quindi di un valore globale di circa 15 miliardi di euro.

Pertanto a fondo perduto l’Unione Europea ci assicura nei prossimi sei – sette anni 96 miliardi di euro. Queste risorse devono essere utilizzate per realizzare investimenti e non per erogare gratuiti assistenzialismi; ripeto queste risorse devono essere considerate solo come disponibilità in “conto capitale”.

Nell’ultimo quinquennio la spesa per investimenti in conto capitale erogata dal Governo attraverso le varie Leggi di Stabilità si è attestata su un valore globale non superiore a 8 miliardi di euro. Sono risorse davvero esigue ma sono risorse che lo Stato ha erogato incrementando il proprio debito pubblico.

Gli 8 miliardi, in realtà, erano disponibilità dello Stato, i 96 miliardi sono della Unione Europea. Forse pochi hanno capito che quello che ci aspetta nei prossimi tre – quattro mesi si configura davvero come una rivoluzione concettuale che nessuno di noi aveva e forse ha ancora immaginato.

Dal 1957, data di sottoscrizione del Trattato di Roma, abbiamo sempre ritenuto intoccabile la “sovranità” del nostro Paese. Ritengo opportuno ricordare che fino a pochi mesi fa un qualsiasi Comune del Mezzogiorno d’Italia riteneva che le opere realizzate nel proprio territorio con i fondi dei Programmi Operativi Regionali (POR) o con i fondi dei Programmi Operativi Nazionali (PON) erano da accreditare al merito dello Stato e che le scelte rientravano tutte nella specifica competenza dello Stato nelle sue varie articolazioni (Ministeri, Regioni, ecc.) e non grazie all’intervento della Unione Europea.

Ebbene, scusate se insisto, ma sono convinto che non sarà facile convincersi, dal I° gennaio 2021 sia per il Recovery Fund, sia per il Programma di coesione 2021-2027, del nuovo ruolo dell’Unione Europea; giustamente la Unione Europea farà pesare il suo ruolo e avocherà alle sue competenze ogni atto, avocherà a se ogni verifica non solo sulla validità strategica delle proposte quanto sulla reale cantierabilità delle opere; le risorse, infatti, quelle a “fondo perduto” non possono non essere spese in un arco temporale ben preciso.

Sono sicuro che nel Centro Nord del Paese, come ho avuto modo di ribadire in vari miei blog, saremo in grado di garantire un numero di interventi coerenti alle esigenze prospettate nel codice comportamentale già anticipato dalla Commissione, mentre questo non sarà possibile per gli interventi presenti nel Mezzogiorno.

La cosa grave è che sicuramente sia nelle Leggi di Stabilità, sia nelle norme di assestamento, sia nelle Leggi pluriennali di spesa lo Stato non sarà in grado di assegnare nuove risorse perché è davvero impensabile un ulteriore indebitamento.

Quindi, dopo anni di forte sottovalutazione del ruolo della Unione Europea, dopo anni di convinta indisponibilità a condividere i provvedimenti comunitari, oggi stiamo scoprendo che il riferimento chiave della nostra possibile crescita è proprio l’Unione Europea.

Se fossimo davvero convinti di essere “cittadini d’Europa” come spesso ripetiamo senza esserne convinti, allora capiremmo che questo passaggio dalla gestione autonoma da parte di uno Stato sovrano ad una gestione vincolata da parte della Unione Europea rappresenta l’anticamera di una grande aspirazione, di un grande obiettivo: dare organica attuazione agli Stati Uniti d’Europa. Proprio poche settimane fa in un mio blog ricordai che, in fondo, questo passaggio regalerebbe una grande occasione proprio al Mezzogiorno del Paese.

Sarà infatti d’ora in poi l’Unione Europea a chiederci perché non realizziamo con le risorse messe a disposizione dalla stessa Unione Europea il ponte sullo Stretto di Messina, perché non affidiamo attraverso la procedura dell’appalto integrato la realizzazione dell’asse ferroviario AV/AC Battipaglia – Reggio Calabria, perché non si autorizza l’attuale Commissario dell’asse ferroviario AV/AC Palermo – Messina – Catania di affidare con appalto integrato l’intero sistema infrastrutturale, perché non si affida con la stessa procedura dell’appalto integrato l’intero completamento dell’asse stradale 106 Jonica, perché non si rende funzionale ed efficiente l’asse stradale Cagliari – Porto Torres (strada statale Carlo Felice); perché non si propongono interventi organici nel trasporto metropolitano di Catania, Napoli, Bari e Palermo, perché non si dà vita ad un progetto di riqualificazione funzionale del sistema industriale “Taranto”, perché non si propongono piastre logistiche strettamente integrate con le reti ferroviarie e con i porti del Mezzogiorno, perché non si dà concreto avvio ai lavori della Caianello – Benevento (Telesina) o a quelli della Maglie – Santa Maria di Leuca.

Ho voluto richiamare l’attenzione sulle possibili opere ferme nel Mezzogiorno perché, senza una richiesta formale da parte di chi trasferisce risorse al nostro Paese, cioè da parte della Unione Europea, assisteremmo, purtroppo, ad una triste conclusione: nel Centro Nord partirebbero interventi per circa 74 miliardi di euro in quanto già definiti e in parte cantierabili e al Sud solo interventi per 4 miliardi.

In realtà, sempre fra qualche mese, scopriremo che disporre delle risorse non significa usarle senza rispettare una precisa logica strategica, senza un ben definito codice comportamentale. La Unione Europea trasferisce a noi un volano di risorse ma diventa contestualmente soggetto che non può essere estraneo da un capillare controllo delle reali finalità delle proposte avanzate. Infatti mentre le risorse trasferite come prestito sono supportate dalla certezza della restituzione nel tempo delle stesse risorse, nel caso del “fondo perduto” la Unione Europea non può assistere ad un uso delle stesse senza misurarne sia la reale incidenza sulla crescita generata dai vari investimenti, sia la misurabile spesa entro un preciso arco temporale.

Forse assisteremo anche al superamento o ad una diversa interpretazione del Titolo V° della Costituzione, sì al superamento dell’articolo 117, perché in realtà sarà lo Stato e non altri a garantire l’intero processo programmatico, l’intero processo realizzativo. Tuttavia, ripeto, se perdere questa sovranità, se non essere attori unici nella gestione delle risorse e nella definizione delle strategie significa avvicinarsi verso un assetto sempre più simile a quello di “Stati Uniti d’Europa”, allora ben venga un simile cambiamento.

In realtà dopo settanta anni forse è davvero arrivato il momento per un simile assetto istituzionale: da un accordo mirato alla ottimizzazione dell’uso del carbone e dell’acciaio (CECA) alla ricerca di sistemi più avanzati per l’utilizzo dell’energia nucleare a fini pacifici della stessa (EURATOM), dall’EURATOM alla identificazione di reti infrastrutturali capaci di rappresentare la spina dorsale della Unione a 27 Stati attraverso il sistema delle Reti TEN – T, dalle Reti TEN – T alla scoperta, oggi, delle convenienze e degli interessi comuni nella utilizzazione delle risorse.

Allora ben venga una simile rivisitazione nei rapporti tra Stato e Unione Europea. Ben venga per il Paese e per l’intero Mezzogiorno. Forse la Unione Europea capirà ciò che, soprattutto negli ultimi sei anni, non hanno capito i quattro Governi che si sono succeduti nell’affrontare le improcrastinabili emergenze del Mezzogiorno.

Finalmente sta per finire ciò che Menichella e Saraceno definivano “la solitudine” del Mezzogiorno: dai prossimi mesi non assisteremo a gratuiti Piani del Sud, non assisteremo ad annunci e ad impegni di bazooka di risorse, non assisteremo alla nomina di commissari responsabili di far partire opere che lo Stato non ha voluto far partire, ma noi cittadini del Sud avremo un riferimento, la Unione Europea, che persegue sin dalla sua nascita un chiaro obiettivo: la omogeneità sociale ed economica dell’intero sistema comunitario. A questo appuntamento le Regioni del Sud devono essere una cosa sola.


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