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Roberto Gualtieri, Giuseppe Conte e Nunzia Catalfo

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Di Ristori in Ristori, con i quattro decreti messi in campo finora – il prossimo è atteso a breve – il governo finora ha messo sul piatto 18 miliardi per far fronte alle ricadute economiche del Covid 19. A fronte di un impegno così gravoso per lo Stato, pur offrendo una boccata d’ossigeno alle attività produttive, l’effetto resta quello da goccia nel mare. Tanto più nel Mezzogiorno dove la crisi si innesta su un tessuto già fragile, dove l’accesso al credito era già difficile e oggi lo è ancora di più, spingendo tanti imprenditori e tante aziende nella rete dell’usura e della criminalità organizzata. Dove la pioggia di licenziamenti di fine marzo, quando cadrà il divieto prorogato dalla legge di bilancio, andrà ad allungare le liste di disoccupazione: secondo l’ultimo rapporto Svimez, nel 2020 la crisi nel Mezzogiorno ha bruciato 280mila posti di lavoro. Il rischio di tenuta sociale qui è più alto che nel resto del Paese.

Un quadro a tinte fosche cui i decreti Ristori finora varati, secondo Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, non offrono alcuna possibilità di schiarita. Per il Sud «nelle disposizioni previste non c’è niente di strutturale. Si tratta dell’ennesimo intervento tampone, senza azioni di sistema». Per De Luca, gli interventi contenuti nei dl sono tutt’altro che sufficienti per la tenuta dell’economia meridionale: «Alle aziende meridionali servono infrastrutture viarie, ferroviarie e tecnologiche in primis. Come Paese dobbiamo cambiare marcia e utilizzare al meglio i fondi in arrivo con il Recovery Fund».

L’efficacia delle misure al Sud, poi, deve fare anche i conti con la massiccia presenza del sommerso. «Si pensi al lavoro cosiddetto lavoro “grigio” – rileva De Luca – cioè quel tipo di contratti stipulati ma che non corrispondono alla reale situazione lavorativa. Finti part-time, somministrazione irregolare, appalti illeciti: sono tutte forme con cui si violano le leggi. Gli organi di vigilanza fanno quello che possono, compresa la segnalazione alle Procure, che poi però dovrebbero procedere ma non sempre succede. E cosi si avvantaggia chi viola la legge». La legge di bilancio ha confermato la fiscalità di vantaggio per le imprese meridionali. «Si avranno benefici a livello di disponibilità delle aziende di risorse da investire. Ma in questo momento gli imprenditori italiani, e quelli meridionali in particolare, stanno combattendo per mantenere in vita le proprie aziende. Per loro il futuro ha un raggio temporale che arriva massimo a fine anno, perché sono oberati dai costi fissi e dai debiti accumulati durante il lockdown della scorsa primavera, che non riescono a coprire con i pochi incassi di questo periodo».

Se l’impatto dei ristori sul sistema economico del Mezzogiorno è stato «impercettibile, quello che è più grave, secondo Francesco Napoli, vicepresidente della Confapi e presidente della confederazione calabrese, è la mancanza di una visione e di un progetto a medio e lungo termine da parte del governo che al Sud, «dove le imprese vivono alla giornata già in una situazione ordinaria, aggiunge incertezza ad incertezza». Senza contare che anche nella partita dei ristori «le imprese si sono ritrovate vittime del sistema burocratico: pensiamo alle procedure di calcolo complesse per determinare gli indennizzi. In Calabria, per esempio, la Regione ha stanziato 60 milioni per dare un piccolo aiuto alle imprese di 1.500 euro: su 43mila potenziali beneficiari, solo 27mila ne hanno fatto domanda per via dell’iter complicato».

«L’ultimo decreto ha rinviato le scadenze fiscali – continua Napoli – ma quante aziende riusciranno a pagare le cartelle rinviate ad aprile?». «Rispetto al disastroso crollo dei fatturati lo Stato non può intervenire con un piatto di lenticchie, la sospensione delle scadenze fiscali è un primo risultato, ma bisogna arrivare alla cancellazione per le imprese più penalizzate, indipendentemente dai codici Ateco e dalle zone rosse – afferma Patrizia Di Dio, presidente nazionale di Terziario Donne e di Confcommercio Palermo – Nel Sud l’economia è inceppata. Più che gli aiuti, bisogna mettere in campo strategie che ci consentano di aver un minor costo del lavoro. La fiscalità di vantaggio è un primo passo, ma servono interventi più strutturali, investimenti anche sulle infrastrutture digitali – su cui il Mezzogiorno ha un ritardo gravissimo – per permettere alle imprese di poter competere. La crisi sta amplificando ancor di più i divari, la tenuta sociale frana e si rischia di consegnare gli imprenditori agli usurai e regalare le imprese alla criminalità organizzata».

L’appello è quindi a mettere da parte liti e contrasti che stanno scuotendo il governo e stringere i tempi del Recovery Fund e avviare i progetti. «Quando chiediamo di fare presto e di fare di più per il Sud – conclude Di Dio – non lo facciamo con fare rivendicativo ma con la consapevolezza che è il volano per far partire la ricostruzione del Paese».


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