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Il ministro dell'economia Roberto Gualtieri

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L’Italia, si sa, è un Paese votato all’export, come tutte le economie di trasformazione. E il mercato di sbocco, per l’Italia, è il resto del mondo. Statisticamente, però, c’è qualcosa che non va nel resto del mondo: l’export mondiale dovrebbe essere uguale all’import mondiale, per ovvie ragioni.

Ma i dati dicono che non è così: c’è un surplus di qualche centinaio di miliardi di dollari, dovuto a varie ragioni statistiche, e questo ‘avanzo’ viene chiamato ‘discrepanza’. Per colmarlo bisognerebbe aumentare l’import, talché un bello spirito del Dipartimento di economia dell’Ocse (dove lavoravo molto tempo fa) disse che bisognava esortare i Paesi: “Esportate, esportate verso la discrepanza!…”.

Era una battuta, ma l’Italia, per aumentare l’export, non ha bisogno di aggredire la discrepanza: ha a disposizione un altro grande mercato di sbocco, interno se non esterno: il Mezzogiorno. Un mercato che potenzialmente vale tre volte l’export italiano, e che può essere attivato, se solo finalmente la ‘questione meridionale’ venisse aggredita con coraggio e lungimiranza.

Questo giornale ha fatto della questione meridionale una battaglia civile, tanto più urgente in quanto un’Italia che non cresce ha bisogno di attivare tutte le opportunità di sviluppo, e fra queste il maggior ‘giacimento di crescita potenziale’ sta nel Mezzogiorno. Un’area dove il tasso di disoccupazione è più che doppio, dove l’andamento dell’occupazione è desolante (Grafico 3) e dove il reddito reale per abitante è poco più della metà di quello del resto del Paese e dove il divario di reddito si è andato allargando (Grafico 2) e rischia di allargarsi ancora di più adesso che la crisi da coronavirus esacerba le diseguaglianze.

Fra le tante minorità del Sud rispetto al Nord una delle più gravi, ora che siamo stati colpiti dalla pandemia, era ed è nella sanità. Le spese pubbliche per la sanità, e in particolare le spese in conto capitale – ospedali, presidi, macchinari… – avevano pesantemente penalizzato il Mezzogiorno.

La Corte dei conti, nell’ultimo rapporto sulla finanza pubblica, ha attinto ai conti pubblici territoriali, documentando come, dall’inizio del secolo, le spese per le dotazioni infrastrutturali sanitarie (espresse in euro costanti pro-capite – vedi tabella) siano state circa il doppio nel Centro-Nord rispetto al Sud.

E non è solo nella sanità che la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno è iniquamente diseguale rispetto al resto del paese. Come si vede dalla tabella, per tutte e sette le principali funzioni di spesa, lo Stato ha trattato gli abitanti del Mezzogiorno come figli di un dio minore. Una disparità, questa, che va ben al di là della morale.

Disattende l’articolo 3 della nostra Costituzione, che impone un dovere di solidarietà per rimuovere le diseguaglianze e, soprattutto, mina alla base la crescita dell’economia. Le infrastrutture sono le travi portanti del tessuto produttivo, e, se vengono a mancare, negano lo sviluppo.

Molti reciteranno le stanche litanie del ‘benaltrismo’: sono ben altri i problemi del Mezzogiorno, diranno; c’è la qualità del capitale umano, c’è l’insufficienza della classe politica, c’è una mentalità anti-mercato, c’è una cultura della dipendenza… Ma il fatto è che vi sono anche casi di eccellenza imprenditoriale nel Mezzogiorno, segno che, se le condizioni ci sono, anche lì può allignare la pianta della crescita.

Per spezzare il circolo vizioso bisogna cominciare da qualche parte. É stato detto tante volte, e non solo in Italia ma anche in Europa: i fondi del Next Generation sono disponibili per raddrizzare quel divario territoriale che è una palla al piede per l’economia italiana (e diventa anche una palla al piede per l’Europa, la cui crescita è resa difficile da un’Italia che si trascina).

Abbiamo dinanzi la possibilità di rimuovere ostacoli antichi che hanno inquinato lo sviluppo – economico e civile della nostra economia. Abbiamo dinanzi un compito fondamentale per il destino e il cammino della nazione.

Come già detto, non bisogna cadere nella trappola degli opposti schieramenti – di qua il Nord, di là il Sud – che si guardano in cagnesco per strappare una fetta più grossa delle risorse. Il problema non sono le ‘fette’, ma la ‘torta’. Il problema è quello di far crescere la ‘torta’ dell’economia tutta, a vantaggio di tutti i punti cardinali della Penisola.


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