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Un asilo

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IIn Emilia Romagna l’80% dei Comuni ha attivato il servizio pubblico di asili nido, in Toscana il 70%, in Lombardia il 43%. In Calabria, invece, appena il 10%, in Campania il 12%, in Basilicata il 19%, un po’ meglio la situazione in Puglia con il 30% ma, comunque, sotto la media nazionale che è del 35%. In una situazione non rosea che riguarda tutta l’Italia, le famiglie del Sud sono ancora più penalizzate: è la fotografia scattata da uno studio di Ifel della Fondazione Anci sulle “Capacità fiscali e fabbisogni standard” sino al 2017 che conferma che nel corso degli ultimi 20 anni c’è stata una stortura che ha portato persino sugli asili nido a spaccare l’Italia.

Colpa di un’anomala applicazione dei principi e dei parametri del federalismo fiscale e dei criteri di ripartizione dei finanziamenti statali che ha portato a questo risultato: per ogni bambino da 0 a 5 anni un sindaco calabrese può investire, mediamente, circa 126,8 euro per garantire i servizi per l’infanzia; per un bimbo residente in Emilia Romagna, invece, i sindaci mediamente riescono a spendere 1.286 euro, in Toscana 1.161 euro, in Lombardia 1.053 euro.

Se nasci al Nord, asili, assistenza, welfare, cure non ti mancheranno. Se vieni alla luce nel Mezzogiorno, beh, la strada potrebbe essere in salita se non hai la fortuna di nascere in una famiglia abbiente che non ti faccia mancare nulla.

Complessivamente, su 6.052 Comuni italiani che hanno partecipato alla rilevazione Ifel rispondendo al sondaggio, solo 2.129 hanno ammesso di aver attivato almeno un asilo nido pubblico: poco più di un terzo, un risultato che evidenzia le difficoltà diffuse in tutto il Paese, ma è il Mezzogiorno ancora una volta quello più penalizzato. Uno spiraglio sembra aprirsi per una “rilettura” dei criteri di ripartizione dei fondi nazionali: i ricorsi al Tar del Lazio e al presidente della Repubblica italiana presentati da quattro Comuni pugliesi contro la distribuzione del Fondo solidarietà comunale sono stati accolti nei mesi scorsi.

Altamura, Acquaviva delle Fonti, Bitonto e Giovinazzo – capofila di questa battaglia – finalmente riceveranno i soldi pubblici per l’apertura e gestione degli asili nido. E’ stato cancellato quello “zero” della vergogna che lo Stato riservava a 65 Comuni del Mezzogiorno per gli asili nido. E’ stato necessario, però, appellarsi alla giustizia amministrativa per far valere i propri diritti: i quattro Comuni pugliesi avevano deciso di presentare un ricorso al Tar per chiedere la corretta applicazione dei principi e dei parametri del federalismo fiscale.

Il tribunale amministrativo, dopo aver letto gli atti, aveva emesso un’ordinanza istruttoria, chiedendo lumi al governo su come avvenisse la ripartizione delle risorse pubbliche e perché alcuni Comuni, quasi tutti del Mezzogiorno, non ricevessero manco un centesimo. Il governo, prima ancora che il Tar intervenisse con un provvedimento, ha ammesso “l’errore” e ha rivisto la definizione dei livelli di servizio da considerare nel calcolo del fabbisogno standard degli asili nido.

Quindi, l’Esecutivo ha preso atto delle illegittimità dei criteri finora seguiti per ripartire le risorse del fondo perequativo di solidarietà comunale. Criteri che penalizzavano gravemente i piccoli comuni del Sud, non riconoscendo a questi alcuna risorsa per garantire ai bambini e alle loro famiglie il servizio di asilo nido. Zero erano infatti le risorse assegnate a fronte di migliaia di bambini fino a due anni a cui i comuni dovevano garantire il servizio. Ad esempio, Altamura a fronte di 3.300 bambini riceveva zero euro, adesso dallo Stato arriveranno circa 688mila euro all’anno.

Lo Stato aveva di fatto stracciato l‘articolo 119 della Costituzione, istitutivo del “fondo perequativo”, che serve a redistribuire le risorse in favore dei Comuni più deboli, al fine di garantire i livelli minimi di assistenza. Il fondo ripartiva le risorse in favore dei Comuni secondo due criteri: quello della spesa storica, e cioè attribuiva ad ogni Comune le risorse sulla base di quanto già in passato attribuito; quello perequativo, basato sul reale fabbisogno. Invece, era stata bloccata la progressione verso il sistema perequativo. Determinante è stata l’ordinanza del giudice amministrativo che ha imposto al governo di giustificare i criteri seguiti nel riparto delle risorse, alla luce del fatto che i comuni ricorrenti non ricevevano neppure un euro per garantire l’assistenza ai tantissimi bambini residenti.

Una battaglia che ha aperto la strada ai 65 Comuni del Mezzogiorno penalizzati: Casoria, ad esempio, 77mila abitanti 2.200 bambini con meno di quattro anni riceveva zero; Imola, 70mila abitanti e 2.900 bambini, incassava 4,5 milioni. Una iniqua distribuzione delle risorse coperta per anni dai parametri costi standard, spesa storica e fabbisogni. Un vero e proprio “gioco delle tre carte” che ha avuto un effetto paradossale: dare più soldi ai ricchi e meno risorse ai poveri. Lo stesso meccanismo che riserva a due città con gli stessi abitanti,

Altamura e Imola, trattamenti diversi: 34 milioni al Comune pugliese, 48 milioni a quello bolognese. Una differenza mica da poco. Come è possibile tutto questo? Semplice: sono gli effetti della mancata applicazione del fondo perequativo, quello che dovrebbe assegnare le risorse, come stabilisce la Costituzione, sulla base dei fabbisogni standard, garantendo un livello minimo di servizi uguale per tutto il Paese.

Secondo l’ultimo rapporto Svimez, la percentuale di bambini che hanno usufruito di servizi per l’infanzia nel Sud è quattro volte più bassa rispetto al Centro-Nord: 4,7% contro il 16,7%.


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