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Paolo Gentiloni

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Due mesi fa, prima ancora che il Governo presentasse la prima edizione del Recovery Plan, ebbi modo di anticipare quali sarebbero stati i paletti che la Commissione europea avrebbe posto come pregiudiziali per consentire l’approvazione della nostra proposta di Recovery Plan. Non sono un previgente ma solo un lettore sistematico delle raccomandazioni comunitarie.

Le mie anticipazioni, naturalmente, non furono prese in considerazione anche se le mie erano indicazioni prese dalle prime “linee guida” che sin dai primi giorni di settembre dello scorso anno la stessa Commissione aveva prodotto e trasmesso formalmente al nostro Paese. Poi, a novembre, il Commissario all’economia della Unione Europea Paolo Gentiloni venne a Roma e in Parlamento tenne una lunga audizione alla presenza delle Commissioni parlamentari competenti. In quella occasione il Commissario fu chiarissimo e ripeté per ben quattro volte: prima di elenchi di iniziative, prima di elenchi di progetti infrastrutturali, prima di allocazioni di risorse articolate per aree tematiche, preoccupatevi di inserire in modo chiaro ed organico le riforme.

Ma sempre nell’incontro in Parlamento Gentiloni, conoscendo la attuale compagine di Governo, precisò che il Recovery Plan doveva contenere piani dettagliati con traguardi intermedi e obiettivi finali, doveva contenere una quantificazione rigorosa dei miglioramenti da ottenere sui vari indicatori economici; in realtà dovevano essere leggibili i collegamenti espliciti tra investimenti e riforme.

Queste richieste non erano generiche e, addirittura, il mancato rispetto di quanto riportato nelle Linee guida, emanate ripeto sino alla noia a settembre dello scorso anno, avrebbe impedito l’erogazione dei finanziamenti. Ma oltre a quelle del Commissario Gentiloni ritengo utili anche le dichiarazioni della Presidente della Commissione Economica del Parlamento europeo Irene Tinagli del Partito Democratico: “Il Recovery Plan è un programma a tappe e dobbiamo quindi creare le condizioni per raggiungere le tappe successive. Non basta quindi fare il Piano, presentarlo e prendere venti miliardi.

Occorrono le condizioni per poter realizzare le opere e le riforme connesse. Ciò che forse non è ben chiaro ad alcuni è che non si tratta di spese fine a se stesse ma una opportunità per cambiare il Paese. Il Recovery Plan è stato preso più come un piano di spesa che un piano di ripresa. Gli investimenti senza una riforma della pubblica amministrazione, del lavoro, del processo civile, rischiano di lasciarci con i soliti nodi che hanno impedito sinora alla spesa di concretizzarsi. Occorre voglia di cambiare il Paese non semplicemente di spendere”.

Sicuramente Irene Tinagli non parla da molti mesi o forse addirittura da anni, con il Segretario Zingaretti e con i Ministri Gualtieri, Amendola e Provenzano tutti riferimenti chiave del Partito Democratico ma tutti, a mio avviso, completamente lontani da simili chiare impostazioni metodologiche. Tra l’altro chi lavora nei Dipartimenti competenti della Unione Europea conosce bene quale sia lo stato in cui versa, solo a titolo di esempio il comparto delle opere pubbliche, sì il comparto che dovrebbe essere uno dei motori chiave capace, grazie alle risorse del Recovery Plan, di riattivare la crescita.

Ebbene, più volte quanto da me dichiarato è stato ultimamente reso ufficiale con un dettagliato elenco di inadempienze dei vari Dicasteri competenti (in un Paese civile si chiederebbero quanto meno le motivazioni), sono stati resi noti i provvedimenti attuativi ancora da adottare nel settore degli appalti secondo il monitoraggio effettuato da Il Sole 24 Ore. Analogo lavoro avevo fatto e pubblicato tre mesi fa quando come ricorderete scoprimmo che delle risorse della Legge di Stabilità 2020 pari a circa 19 miliardi di euro nell’anno 2020 non era partito nulla perché non erano stati fatti i vari Decreti attuativi. Non richiamerò provvedimenti non attivati relativi al Codice dei Contratti pubblici, non li richiamerò perché sarebbe davvero una cattiveria ricordare atti non prodotti relativi a provvedimenti assunti nel 2017, nel 2018, nel 2019 e nel 2020, prenderò solo quelli relativi a due Leggi che dal titolo apparivano rivoluzionarie e pragmatiche: Decreto Sblocca Cantieri e Decreto Semplificazioni. Entrando all’interno di tali provvedimenti possiamo appurare solo a titolo di esempio che:

Nel Decreto Legge Sblocca Cantieri, dell’aprile 2019, il Nuovo Regolamento unico attuativo del Codice dei contratti pubblici previsto, sin dal 16 dicembre 2019 non è ancora operativo

Nel Decreto Legge Sblocca Cantieri, provvedimento, ripeto, emanato il 19 aprile del 2019, era previsto l’impegno di produrre l’elenco delle grandi opere da realizzare tramite commissari; tale provvedimento è stato presentato alla Commissioni competenti del Parlamento solo nel mese di gennaio 2021

Nel Decreto Legge Sblocca Cantieri è previsto un Decreto del Ministro della Salute per la ricognizione dello stato di attuazione degli interventi previsti dal piano pluriennale di edilizia sanitaria, ritenuti prioritari; allo stato non si dispone del provvedimento

Nel Decreto Legge Semplificazioni del luglio 2020 era prevista la emanazione di un provvedimento relativo alle Ulteriori misure di semplificazione relativamente alla competenza delle Prefetture in materia di rilascio della documentazione antimafia

Nel Decreto Legge Semplificazioni era prevista la emanazione di un provvedimento relativo all’utilizzo del Fondo per la prosecuzione delle opere di importo superiore alle soglie comunitarie con i criteri di assegnazione delle risorse.

Potrei continuare ma mi fermo fornendo tre macro dati: dei 62 provvedimenti previsti dal Codice Appalti del 2016 attuati solo la metà, del Decreto Legge Sblocca Cantieri operativi solo 10 su 22 e del Decreto Legge Semplificazioni finora tutto fermo.

Questi dati ormai pubblici e noti a tutti preoccupano per due distinte motivazioni una esterna legata ai nostri rapporti con la Unione Europea ed una interna legata alla sempre più grave marginalizzazione del Mezzogiorno.

In merito alla prima preoccupazione penso emerga chiaramente che le preoccupazioni della Commissione europea, i richiami ormai sistematici del Commissario Gentiloni e del Vice Presidente Valdis Dombrovskis non solo sono ampiamente motivati ma, addirittura, non sarà facile recuperare, specialmente nel comparto delle infrastrutture, quella credibilità necessaria per difendere possibili riforme.

In merito alla seconda preoccupazione preciso che sia la grave esperienza vissuta con l’attivazione della spesa del Fondo di Coesione e Sviluppo 2014 – 2020 (impegnati solo 24 miliardi su 54 e spesi 6 o 7), sia i Programmi prodotti come il Piano del Sud o l’ultimo documento prodotto sulle opere da commissariare (oltre l’80% interventi nel Sud supportati da studi di fattibilità), porranno la Commissione europea di fronte ad una triste constatazione: gli strumenti finora adottati e le proposte finora avanzate per il rilancio nel Sud sono state e sono tuttora fallimentari.

Come ha già fatto l’Olanda non ci resta che chiedere una proroga dei termini di presentazione ufficiale del Recovery Plan a Bruxelles, una proroga di almeno tre mesi motivata anche dalla nostra crisi politica interna; non credo, infatti, che alla luce della serie di incapacità procedurali con cui la macchina dello Stato ha praticamente disatteso l’avanzamento fisiologico di procedure ordinarie, la Commissione possa riporre credibilità nelle nostre dichiarazioni, nei nostri impegni ad attuare nei prossimi mesi determinate riforme. Come ho ricordato spesso la Unione Europea, giustamente, non crede nei tempi dei verbi al futuro, ma solo possibilmente al passato prossimo o al presente. L’attuale compagine di Governo nei prossimi giorni o nei prossimi mesi capirà quanto sia lontano il codice comportamentale della Unione Europea dall’approccio metodologico finora seguito all’interno dei vari Ministeri competenti del nostro Paese.

Spero che quanto prima si esca da questo grave torpore operativo.


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