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La sede del parlamento europeo

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Si litiga sulla legge elettorale, sulle preferenze gradite a Italia Viva. Su ruolo dell’Inps e dell’Anpal, sul Mes, sul documento che dovrà siglare l’accordo. Si tasta il terreno per capire fino a che punto i 5Stelle sarebbero disposti a correggere il reddito di cittadinanza. Nel pentolone finiscono tutti i temi più indigesti. L’unico tema centrale però resta fuori dalla Sala della Lupa: del rilancio del Mezzogiorno nel summit di Montecitorio non si parla. Troppo divisivo, troppo scomodo per tutti.

Meglio allora soprassedere. Meglio incartarsi sul Mes, l’assillo incomprensibile dei 5Stelle. Con Tabacci che media, che avanza la possibilità di una richiesta parziale e il grillino Crippa che chiude con un secco “no”. Mentre il Pd, che pure non sarebbe contrario, tergiversa e mette sul tavolo la riforma degli ammortizzatori sociali e la parità dei salari, le politiche attive del lavoro.

IL DISTANZIAMENTO DALLA REALTÀ

Riassumiamo perché in tutto questo c’è qualcosa di paradossale. L’Europa ci dà le risorse del Recovery Fund per rilanciare le zone più arretrate del nostro Paese. Ce le dà imponendoci di investire nel Sud. Risorse come non si erano mai viste prima. Ci avverte in via preventiva che la nostra mission è questa. Ce lo dice, sfoggiando due paroline di italiano, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea.

Ce lo ripete, con un tono d’urgenza mai usato prima il compassatissimo Gentiloni, commissario Ue per l’Economia. Ora che è di casa a Bruxelles, l’ex premier sente certi discorsi, fiuta gli umori, sa quanto sia reale il rischio di possibili bocciature. E lo ripete a ruota il presidente del Consiglio dimissionario Giuseppe Conte, ipotizzando “un volano per il Sud superiore al 50%”: Creare corsie preferenziali, semplificare il sistema normativo, ridare alle amministrazioni locali capacità di spesa.

Più che una preferenziale, sarebbe bastato avere l’accesso diretto all’enorme tavolo di Montecitorio, dove tra i partecipanti viene garantito il distanziamento. In tutti i sensi. Anche dalla realtà, purtroppo. Perché di Mezzogiorno non si parla. Non pervenuto, non previsto, non è in agenda. Neanche i ministri che in teoria sarebbero più interessati, Peppe Provenzano, Francesco Boccia e Teresa Bellanova, ne sanno nulla. A tutti sembra normale che il tema centrale non venga affrontato e non diventi una pregiudiziale per formare un nuovo esecutivo.

Eppure l’unica cosa che conta in questa contingenza pandemica è proprio la gestione del Recovery Plan. L’Unione europea che ci dà tutti quei soldi – 209 miliardi di euro – per colmare il gigantesco gap Nord-Sud. Di questo. O almeno anche di questo, si doveva parlare nel tavolo tecnico convocato dal presidente della Camera Roberto Fico, aspirante sindaco di Napoli. Invece i punti più importanti, sui quali si è sfiorata la rottura – un balletto che andrà avanti almeno per altre 24 ore – sono altri. L’Inps, l’Anpal, il reddito di cittadinanza, il sistema elettorale, la riforma della Giustizia, prescrizione compresa. Uno più importante dell’altro, sia chiaro, senza però il collante che dovrebbe far ripartire lo sviluppo. Agenda digitale, green economy, imprese da salvare, infrastrutture da realizzare, molto più della mezza paginetta dedicata nel PNRR agli “Interventi speciali per la coesione territoriale”.

I DUE RACCONTI PARALLELI

Ci sono due racconti paralleli. Nel primo si spiega cosa servirebbe al Paese per evitare l’affondamento e ripartire. Nel secondo si chiede alle segreterie dei partiti di stilare una rotta per evitare altre collisioni dopo l’ammutinamento di Renzi.

E non siamo ancora alla resa dei conti, alla scelta dei nomi, alla distribuzione delle poltrone, agli sgambetti.

Così che, alla fine, anche nella sua seconda versione, il Recovery Plan rimane nel cassetto, un confuso esercizio di buone intenzioni. Con tutti i suoi errori da matita blu: Risorse come quelle previste dal Fondo sviluppo e coesione 2021-2027 che si mischiano e si sovrappongono, quelle aggiuntive si trasformano in aggiuntive. Numeri che esistono solo sulla carta. Con i presidenti delle regioni che in qualsiasi momento potranno porre un veto sulle nuove opere infrastrutturali.

LA SALUTE QUESTA SCONOSCIUTA

C’è poi dulcis in fundo la sanità. Forse ieri, con il piano vaccinale che stenta a ripartire, se ne sarebbe dovuto parlare. Secondo un report di Salutequità, un’associazione indipendente, per la nostra salute spendiamo solo l’8,8 % delle risorse totali. ll PNRR copre meno del 50% dei 40 miliardi sottratti negli ultimi dieci anni alla sanità. E mai come durante questa emergenza Covid il sistema sanitario in alcune zone del Mezzogiorno è stato smontato pezzo a pezzo. A furia di dismettere le strutture o lasciare a metà i cantieri, in certe zone servirebbero in caso di emergenza ospedali da campo.

Nella seconda versione del Recovery, quella riveduta e corretta, la cifra prevista è salita fino a 19,7 miliardi ma ne servano almeno il doppio. Per la presa in carico delle persone con una disabilità, non autosufficienti, affette da patologie croniche invalidanti, sono stati stanziati 7,9 miliardi in 6 anni, di cui solo 1, leggasi uno, per assistenza domiciliare o ambulatoriale. Si dà il caso che per le cure e la riabilitazione dei propri familiari gli italiani spendano 17 miliardi. Tutti soldi che finiscono e continueranno a finire nelle tasche dei privati. E passeranno altri giorni chiedendosi se prendere o non prendere i soldi del Mes. 


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