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In fondo il problema è sempre quello del bicchiere pieno a metà. Non diversamente per i dati Istat pubblicati ieri. Gli ottimisti guardando il Pil caduto nel 2020 dell’8,8% diranno che in fondo è andata bene. Lo scivolone è stato inferiore al 9% previsto dal governo e anche in autunno la discesa è stata del 2% rispetto al 2,2% temuto.

I pessimisti faranno notare con maggiore realismo che non sarà certo una differenza da prefisso telefonico a cambiare la situazione. Conta il fatto che sono stati persi ancora 153 miliardi di ricchezza nazionale: dal 2007, ultimo anno prima della grande crisi da cui non siamo ancora usciti l’arretramento è pari al 12,3%. In valore assoluto il Pil italiano è, oggi, inferiore ai 1.600 miliardi. Vuol dire che, più o meno, siamo tornati sugli stessi livelli della fine dei ’90. Più di vent’anni buttati via. Gli anni dell’euro? Certamente. Ma anche gli anni in cui nessun governo è stato in grado di modernizzare il Paese, se non marginalmente. La spiegazione del disagio e dello scontento degli italiani del 2021 è tutta in questa cifra. Il resto sono chiacchiere.

O riparte la crescita oppure non se ne esce. Continueremo ad annaspare sulla strada del declino. La base occupazionale si sta restringendo: l’anno scorso sono stati persi ufficialmente 444 mila posti di lavoro con un’impennata a 101 mila solo nel mese di dicembre. Il 98%sono donne (99 mila). Come mai? Con la fine dell’anno sono scaduti i contratti a termine e tutte altre forme di occupazione temporanea che, in gran parte riguardano il paesaggio femminile sempre diviso fra lavoro e famiglia. Difficile in queste condizioni non parlare di emergenza socio-economica. Il blocco dei licenziamenti e la proroga della cassa integrazione stanno limitando i danni mettendo il conto a carico di figli e nipoti.

Tuttavia non c’è da farsi molte illusioni: senza una ripresa forte sono a rischio la sostenibilità del debito pubblico e più di cinque milioni di posti di lavoro. Circa il 20% tutti gli occupati. Non è detto che vada meglio nel futuro. È molto probabile che anche il primo trimestre di quest’anno si chiuda con un risultato non certo lusinghiero.

Secondo Confesercenti l’obiettivo di una crescita nell’ordine del 6% nel 2021 resta fuori portata: a malapena si potrà arrivare al 4%, valore assolutamente insufficiente a farci recuperare le perdite registrate rispetto al 2019. Anche perché l’andamento dei consumi resta fragile: il 2020 si è chiuso con una perdita di oltre 100 miliardi (il 9% circa) e nel 2021 la crescita sarà solo del 3-4%. Senza una normalizzazione dei consumi interni, possibile solo con i vaccini, il Pil non tornerà a crescere.

Il tutto mentre dalla Bce si moltiplicano i richiami sulla sostenibilità dei conti pubblici, così come sulla necessità di dosare nel modo più appropriato le misure anticrisi. In un articolo intitolato “La risposta iniziale di Bilancio dei Paesi dell’area euro di fronte alla crisi Covid”, la Bce ribadisce che “anche se i Paesi non devono rimuovere troppo presto le misure di supporto, il fatto che i debiti siano aumentati drasticamente significa che è cruciale avere strategie di consolidamento credibili”. Il prolungamento delle misure anticrisi “appare ragionevole solo per i settori compromessi dai nuovi lockdown”.

Purtroppo attività strategiche per l’Italia come il turismo e gli alberghi che da soli rappresentano circa il 15% del Pil sono state cancellate. Ristoranti e bar sono alle corde. Uno degli ultimi gridi di allarme è giunto da Federmep, che raccoglie imprese e professionisti del settore matrimoni che come altri comparti teme che dopo il crollo 2020 anche il 2021 si riveli “un anno nero”.

La preoccupazione della Bce è precisa: i sostegni a “pioggia” potrebbero essere andati anche a settori, imprese o singoli che in realtà non avevano particolari problemi. Hanno così gonfiato i loro tassi di risparmio, complice anche impossibilità di spendere a causa dei lockdown, con un effetto negativo sulla crescita. Ora è Christine Lagarde a trovarsi in difficoltà. Perché da un lato la debolezza dell’economia potrebbe imporre nuovi stimoli, tanto più che Biden procederà decisamente sulla strada degli aiuti.

All’opposto, una possibile risalita dell’inflazione potrebbe spingere i falchi tedeschi (e non solo) all’intransigenza. Oggi Eurostat fornirà la stima preliminare sull’inflazione di gennaio, che dopo quattro mesi inchiodata a meno 0,3%, potrebbe segnare una risalita. L’agenzia di statistica tedesca, Destatis ha riportato un rimbalzo dell’inflazione della Germania all’1% su gennaio. Davanti alla decisa ripresa dei prezzi sappiamo già la reazione a Berlino. Meglio prepararsi. Ma senza crescita sarà impossibile.


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