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Sono numerosi i giovani che si stanno dedicando al settore agricolo

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IL TOTO ministri del Governo Draghi impazza, ma ancora una volta la corsa è alle caselle “strategiche”. Poi ci sono le postazioni minori dove, secondo un vecchio e sfilacciato copione, si collocano i ministeri del Sud e dell’Agricoltura. Non si esce dunque da una visione provinciale dell’economia. Le infrastrutture possono certo aiutare a spiccare il volo. Ma per il resto? 

Abbiamo visto i disastri creati dagli investimenti a senso unico e dall’abbandono dei territori. E non è sostenere l’economia un’azione energica finalizzata a evitare i dissesti idrogeologici come quello che una manciata di giorni  fa ha isolato Amalfi? Se si continuano a considerare “minori” gli interventi in favore dell’agricoltura non si aiuta il consolidamento di una politica green su cui punta compatta l’Europa di Draghi. E l’agricoltura è l’asse portante di questa strategia sia perché garantisce cibo e dunque tranquillità sociale, sia perché consente una buona tenuta del territorio sempre più necessaria con i cambiamenti climatici che hanno fatto impazzire i fenomeni meteo.

Le precipitazioni sempre più intense e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua si abbattono su un territorio reso fragile dalla cementificazione e dall’abbandono con più di nove comuni su dieci a rischio per frane o alluvioni (91,1%).

E’ quanto rileva uno studio della Coldiretti che ricorda come abbiano raggiunto quota 7275 i comuni con parte del territorio in pericolo di dissesto idrogeologico dove  7 milioni di italiani vivono in aree a rischio frane, alluvioni ed esondazioni di fiumi in una situazione di incertezza determinata dall’andamento meteorologico che condiziona la vita e il lavoro. Tropicalizzazione e moltiplicarsi di eventi estremi hanno presentato al settore primario un conto salatissimo di oltre 14 miliardi negli ultimi dieci anni.

E’ il risultato di una politica miope che ha puntato tutto sull’industrializzazione selvaggia e che ha prodotto negli ultimi 25 anni la cancellazione del 28% della superficie coltivata e dunque oggi per l’attività agricola sono disponibili solo 12,8 milioni di ettari. Inserire l’agricoltura tra le grandi questioni del Paese e dell’Europa non significa agire per tutelare un piccolo esercito di agricoltori e qualche prodotto di nicchia, ma vuol dire operare per il bene dell’Italia consolidando una tendenza di rilancio del settore che, soprattutto nel Mezzogiorno, rappresenta una delle poche ancore di salvezza dell’economia. E che può avere un impatto forte anche sull’occupazione. 

Dall’agroalimentare, secondo il piano messo a punto dalla Coldiretti, potrebbe arrivare un milione di posti di lavoro green entro i prossimi 10 anni con una decisa svolta dell’agricoltura verso la rivoluzione verde, la transizione ecologica e il digitale. L’agricoltura oggi è un settore fortemente incardinato nel territorio, è connesso con il turismo, i beni culturali, i servizi. È un’attività ad alto tasso di innovazione ed è soprattutto l’unica chance per salvare il Paese dai drammatici dissesti. Può trainare infrastrutture importanti e può intervenire per “addolcire” la furia della natura. La “Grande” Francia ha dedicato un capitolo corposo al Recovery Plan.

In Italia, come abbiamo più volte ripetuto, solo titoli e poco o niente sotto lo sbandierato “green”. Potrebbe essere oggi la volta buona per cambiare. Ma se ancora si parla di posizioni di Governo minori per l’agricoltura le speranze rischiano di infrangersi contro i muri del conformismo economico. La discontinuità si può declinare anche con una svolta verso il vero e l’unico green, quello agricolo che coinvolge le agroenergie o la forestazione. Perché i mega progetti dei boschi verticali e delle riforestazioni metropolitane hanno bisogno di alberi, arbusti, piante autoctone che non si fabbricano in laboratorio. Ma se non si sostiene il florovivaismo i piani naufragano. E quando esplodono inattese le pandemie e tra i cittadini scatta l’allarme- approvvigionamenti alimentari, se non si dispone di una capacità produttiva adeguata e di un’industria di trasformazione in grado di rispondere alla domanda si rischia di finire come per i vaccini, ostaggi delle multinazionali. E se non c’è un’offerta di cibo sufficiente come si può intervenire a favore degli indigenti, dei nuovi poveri?

Tutto questo sono l’agricoltura e l’agroalimentare. Che hanno attutito il colpo del tracollo economico. Nel 2020 a fronte della caduta libera (11,4%) dell’industria manifatturiera l’alimentare si è fermato al meno 2,5%. Segno meno certo, ma che va in assoluta controtendenza rispetto al -28,5% del tessile e al – 18,3% dell’automotive. Mentre l’agroalimentare ha tenuto confermandosi il primo settore produttivo con un fatturato di oltre 538 miliardi.

Un risultato che secondo la Coldiretti è da attribuire al boom del Made in Italy sulle tavole del mondo. I prodotti tipici, in particolare della Dieta Mediterranea costituita soprattutto da delicatezze meridionali hanno sbancato  in Germania con una crescita del 5,5%, ma è andata bene anche negli Stati Uniti (+5,2%) nonostante i dazi.  Anche in una prospettiva futura investire nell’agricoltura può dare una scossa anche ai mercati. Le ultime crisi finanziarie hanno dimostrato che grano, soia e mais si sono affiancati a oro e argento come beni rifugio. Una tendenza che potrebbe consolidarsi anche alla luce della domanda sempre più sostenuta di materie prime dalla Cina e dagli altri Paese emergenti.

Oggi l’impennata delle materie prime si riflette negativamente sui conti delle aziende italiane, ma se si  riesce a cambiare il corso e riavviare le coltivazioni eccellenti (il grano può tornare a essere una risorsa del Sud)  si potrebbero aprire nuovi scenari. Insomma strategicità e centralità dell’agroalimentare dovrebbero essere principi scritti ormai sulla pietra. E dunque per il ministero dell’Agricoltura si dovrebbe pensare, come per i dicasteri strategici, a personalità di alto profilo, politiche o tecniche che siano. Non caselle residuali per accontentare i delusi o risarcire qualche politico. Senza dimenticare che l’agricoltura è il settore produttivo, forse unico, gestito da una politica agricola europea. In questa fase in cui si discute sul futuro della Politica agricola comune e sulle nuove norme dell’etichettatura che potrebbero incidere negativamente su alcuni prodotti del Made in Italy, a partire dall’olio di oliva, bisognerebbe davvero considerare il ministero di Via XX Settembre di serie super A.  


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