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In questi giorni ci sono delle scadenze che, a mio avviso, impongono un approccio nuovo e responsabile da parte di tutti coloro che, direttamente o indirettamente, seguono le possibili evoluzioni che, proprio in questa fase, saranno disegnate e rese operative.

La prima scadenza, senza dubbio, è quella relativa alla definizione del Recovery Plan; in realtà sarebbe un errore vivere questa fase come una banale esperienza pianificatoria, dobbiamo invece affrontarla come una occasione che fissa una soluzione di continuità tra un passato caratterizzato solo da una impostazione in cui disegnare il “futuro” era impossibile per carenza di risorse o, peggio ancora, per scelta mirata solo ad assegnare le stesse in conto esercizio e non in conto capitale, ed una impostazione basata sulla possibilità di disporre, davvero, di risorse disponibili e di poterle utilizzare in tempi certi.

Forse non ce ne rendiamo conto ma questa è una modifica concettuale che ritengo addirittura rivoluzionaria perché il rischio è che vinca la forza progettuale e propositiva basata sulla logica della convenienza, sulla logica del misurabile ritorno di investimento e non sulla logica del diffuso rilancio socio – economico del Paese.

Anche in questo caso sarà bene precisare che non invochiamo il concetto “socio – economico” solo per aggregare il consenso ma per ridisegnare degli scenari che non volevamo più invocare perché già il prossimo quinquennio ci sembrava un arco temporale talmente lungo e imprevedibile da non consentire nessuna “previsione”.

Il Presidente del Consiglio dei Ministro Mario Draghi, invece, nel suo discorso di insediamento ha detto che le nostre scadenze programmatiche, i nostri scenari devono spaziare nel medio e lungo periodo, cioè fino al 2030 e al 2050.

Allora nel Recovery Plan, almeno per la componente legata alle infrastrutture, bisogna avere il coraggio di eliminare la logica dei comparti, la logica dei settori, ma ribadire finalmente che la crisi del Paese viene da lontano e che la pandemia ha solo amplificato le criticità ma non è stata la causa scatenante; questa presa d’atto, questa nuova coscienza impone quindi una nuova lettura delle reali esigenze del Paese e questa coscienza dovrà rispettare il seguente codice comportamentale:

  1. Certezza di un quadro fonti impieghi di quanto si intende avviare, in termini infrastrutturali, nel prossimo quinquennio. Includendo le risorse disponibili del Fondo Coesione e Sviluppo 2014 – 2020, del Recovery Fund, del Fondo Coesione e Sviluppo 2021 – 2027 e delle risorse inserite nella Legge di Stabilità 2022 per il triennio 2022 – 2024
  2. Identificazione di possibili coinvolgimenti di capitali privati attraverso il ricorso a forme di Partenariato Pubblico Privato
  3. Identificazione dei responsabili operatori sia della fase progettuale, sia della fase realizzativa, sia della fase gestionale, sia della fase manutentiva
  4. Definizione di tutte le interazioni tra la singola proposta e quelle che, direttamente o indirettamente, fanno parte integrante della offerta trasportistica
  5. Identificazione dei ritorni di investimento ed ottimizzazione di tali ritorni attraverso la istituzione di un apposito Fondo Rotativo Opere Pubbliche (FROP) tra l’altro già disponibile presso la Cassa Depositi e Prestiti
    Seguendo un simile codice comportamentale diventa facile costruire la proposta, diventa semplice rispondere alle seguenti esigenze, al seguente quadro di interrogativi:
    • Quale è la griglia portante della offerta infrastrutturale del Paese; dal PGT al primo Quadro delle Reti TEN – T, al secondo quadro delle Reti TEN – T
    • Quali sono state, sempre per il nostro Paese, le motivazioni portanti delle scelte infrastrutturali
    • Quali sono oggi gli anelli mancanti dell’impianto sia nella sua organizzazione per assi infrastrutturali, sia per i nodi urbani e logistici (porti, interporti ed aeroporti)
    • Quali le emergenze Paese più vincolanti per la crescita
    • Quale il quadro delle esigenze finanziarie e delle relative coperture
    Una scadenza contestuale con il Recovery Plan è quella legata alla redazione del Documento di Economia e Finanza (DEF), questa necessariamente dovrà fare il punto su un passaggio delicato della Legge di Stabilità 2021 dove, in particolare al comma 1037, si dice:
  6. Per l’attuazione del programma Next Generation EU è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, quale anticipazione rispetto ai contributi provenienti dall’Unione europea, il Fondo di rotazione per l’attuazione del Next Generation EU-Italia, con una dotazione di 32.766,6 milioni di euro per l’anno 2021, di 40.307,4 milioni di euro per l’anno 2022 e di 44.573 milioni di euro per l’anno 2023.

Queste disponibilità finanziarie non saranno possibili nelle annualità poste nell’articolato; infatti non sarà disponibile, come previsto nel richiamato comma 1037, una somma pari a 32.766,6 milioni di euro ma, nel migliore dei casi dopo il mese di settembre, solo un importo pari a circa 27.000 milioni di euro e cosa ancora più delicata è quella legata alla copertura degli anni 2022 e 2023, cioè la disponibilità ed il reale tiraggio di circa 85.000 milioni di euro nel biennio 2022 – 2023 diventa davvero problematico.

Il DEF diventa, quindi, una prima occasione di verità in cui il Governo Draghi dovrà necessariamente ammettere che la Legge di Stabilità 2021 aveva invocato il Next Generation EU per coprire per oltre il 70% le esigenze finanziarie ordinarie del Paese. Questa impostazione, come d’altra parte raccontata anche dal precedente Ministro dell’Economia e delle Finanze serviva solo per non incrementare il debito pubblico, ma a meno di tre mesi dalla manovra di assestamento di bilancio penso sia opportuno anticipare i possibili cambiamenti alla impostazione della Legge di Stabilità 2021.

Ma il Documento di Economia e Finanza dovrà anche contenere la proposta relativa alla “Intesa con le Regioni per quanto concerne il Recovery Plan”, e ciò in base ad una Sentenza della Corte Costituzionale, la n.7/2016, che ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2 e 4, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui non prevede che l’approvazione dei relativi progetti avvenga d’intesa con la Regione interessata”.

Finalmente la Presidente della Regione Umbria Donatella Tesei, a cui i suoi colleghi Presidenti delle altre Regioni hanno affidato il compito di coordinare il lavoro sul Recovery Plan, ha fatto presente al Governo che “il tema ancora non risolto, posto alla unanimità dalle Regioni, è sul ruolo che dobbiamo ricoprire in questo percorso, vale per le Regioni così come per gli enti locali”. La Presidente Tesei ha inoltre ribadito che “il Governo finora si è limitato a chiedere una lista dei progetti disponibili che rispondessero alle missioni indicate dall’Europa”.

Come ho ricordato in una mia precedente nota, mi ha davvero sconcertato che nessuno dei Presidenti delle Regioni meridionali, proprio sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale generata da un ricorso formale di una Regione del Sud come la Puglia, non abbia finora sollevato, in modo formale, una simile grave tematica. Ad esempio il Presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci che non è stato per niente coinvolto nella redazione del Recovery Plan in particolare sull’inserimento o meno del collegamento stabile tra la Sicilia ed il continente cosa intende fare alla luce della sentenza che ho riportato prima?

O cosa intende fare il Presidente della Regione Sardegna che non ha trovato finora nelle proposte del Recovery Plan la realizzazione di una reinvenzione funzionale dell’asse viario 131 Carlo Felice o il Vice Presidente della Regione Calabria che non ha trovato il completamento dell’asse viario 106 Jonica e in proposito ricordo che la notizia riportata in alcuni ambienti dei Ministeri competenti che nel Recovery Plan non possono essere inserite opere viarie non è assolutamente vera.

Un ultimo argomento da affrontare, sempre in questa fase, è la rilettura dei ruoli dei vari Dicasteri, in particolare di quello relativo al Dicastero della “Transizione ecologica” e dei cambiamenti che tale Dicastero imporrà nella Valutazione di Impatto Ambientale dei progetti.

Pensare che non sia cambiato nulla è solo da superficiali e forse nel DEF e poi in un prossimo provvedimento legislativo sarebbe opportuno imporre una nuova articolazione della fase autorizzativa delle proposte progettuali; sarebbe opportuno cioè imporre che tutto l’iter che caratterizza l’esame e l’approvazione di una proposta progettuale avvenga in unica sede, in un arco temporale non superiore ai 60 giorni, alla presenza di tutti gli attori direttamente ed indirettamente interessati (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti compatibili, Ministero della Transizione Ecologica, Ministero della Transizione Digitale, Ministero dei Beni Culturali, Ministero delle Regioni, CIPE, Corte dei Conti, ecc.).

L’attuale mese di marzo diventa, quindi, il mese in cui è necessario convincersi che non è più possibile continuare ad essere trasportati in modo inerziale dagli eventi, dalle decisioni o dalle non decisioni di chi temporaneamente gestisce la cosa pubblica, è un mese in cui, in modo particolare le Regioni del Mezzogiorno, dovranno, dopo anni di letargo, riscoprire il ruolo di essere riferimento chiave per la crescita del Paese.


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