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Ora o mai più. Con i 191,5 miliardi del Next Generation Eu l’Europa consegna all’Italia l’occasione di risorgere dalle macerie del Covid, partendo dal risanamento della frattura che divide il Paese in due e che lascia il Mezzogiorno e i suoi cittadini sempre un passo indietro. E da parte del governo c’è la volontà di non lasciarsi sfuggire l’occasione per avviare la riunificazione del Paese a vantaggio non solo del Sud, ma dell’Italia tutta.

Occorre «far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord che è fermo da decenni», ha affermato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, illustrando i numeri che fotografano la distanza tra le due Italie, le sue cause e le risorse per invertire la rotta, inaugurando la due giorni di confronto “SUD – Progetti per ripartire”, voluta dal ministro per il Sud, Mara Carfagna, in vista della definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che l’esecutivo dovrà prestare a Bruxelles entro il 30 aprile. «Vogliamo fermare l’allargamento del divario e dirigere questi fondi verso le donne e i giovani», ha affermato il premier, sottolineando che il raggiungimento dell’obiettivo passa dalla capacità di spendere bene le risorse – e su questo finora l’Italia non ha brillato – e che il «rilancio» richiede la partecipazione di tutti.

Il Mezzogiorno è «al centro delle azioni operative di questo governo» e «sarà più chiaro quando saranno più noti i numeri del Pnrr», ha assicurato il ministro Carfagna.  «Il Sud- ha aggiunto – dovrà entrare nella sua azione operativa per il cambiamento perché siamo all’inizio di una stagione di rinnovamento e sarà una grande sfida collettiva che uniti dobbiamo cogliere, e anche la trasversalità di questo governo è un’occasione che dobbiamo cogliere».

Nel Mezzogiorno le aspettative sono altissime. Ma colmare il divario tra Nord e Sud non è interesse solo dei cittadini meridionali: «L’arretratezza del Mezzogiorno è una questione nazionale e dalla sua soluzione dipende in gran parte la possibilità di sbloccare il prolungato stallo dell’economia italiana», ha affermato Fabrizio Balassone, capo del servizio Struttura economica di Banca d’Italia, indicando i punti essenziali della questione: «il Sud cresce meno, crea meno opportunità di lavoro e quelle che crea hanno una produttività inferiore».

Intanto le precedenti crisi hanno ampliato i differenziali di sviluppo tra Nord e Sud, innestandosi su un trend preesistente: tra il 1975 e il 2019 il più reale pro capite del Mezzogiorno è sceso dal 70 al 55% di quello del Centro Nord, ha evidenziato Balassone. Il saldo migratorio negativo dei laureati nel Mezzogiorno è raddoppiato dal 2007 al 2017. La difficoltà di creare lavoro comporta diseguaglianze maggiori rispetto al resto del Paese.

«Una nostra simulazione nostra mostra che se il Mezzogiorno convergesse verso il Centro Nord in termini di partecipazione e disoccupazione – ha affermato Balassone – il Pil potrebbe crescere di oltre mezzo punto percentuale in media all’anno, tra il 25 e il 40. Se la convergenza riguardasse anche la produttività, la crescita sarebbe più elevata».

Il gap tra Nord e Sud si misura poi sui tempi della giustizia civile – con effetti negativi sull’efficienza delle imprese, l’accesso al credito e l’attrattività degli investimenti – sulla qualità dell’azione amministrativa, sulla sanità, sulle competenze degli studenti, sulle infrastrutture. Quanto ai servizi socio-educativi il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, ha messo in evidenza la lontananza delle regioni meridionali dall’obiettivo europeo del 33%, dove si raggiunge soltanto il 22%, con punte drammatiche in alcuni territori.

La spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno, ha affermato Draghi tra il 2008 e il 2018, si è più che dimezzata ed è passata da 21 a poco più di 10 miliardi. «La spesa pro capite in conto capitale dovrebbe esser più elevata al Sud ma non è così, riflettendo valori particolarmente bassi nell’attività di investimento ordinaria dell’operatore pubblico», ha sostenuto Balassone.

Ora l’Europa mette a disposizione risorse straordinarie per cambiare verso.  «Per i soli fondi strutturali, sommando le risorse del ciclo 2014-2020, quelle di React Eu e quelle del ciclo di programmazione 2021-2027 si può stimare, negli anni 2021-2023 un valore di risorse da impiegare nel Mezzogiorno che oscilla tra i 9 e i 10 miliardi di euro all’anno, a cui si aggiungono le risorse del Pnrr e quelle del Fondo sviluppo e coesione. Per il Sud, escluso il Pnrr, significa circa 100 miliardi su un orizzonte temporale di pochi anni», ha affermato il direttore generale dell’Agenzia per la coesione, Massimo Sabatini.

«Si tratta di saperle utilizzare e nei tempi più veloci possibili» e il Pnrr, in questo senso, «è un banco di prova molto importante», ha affermato il ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, puntando poi il dito contro i tempi di realizzazione delle opere che «al Sud sono il doppio di quelli del Centro e del Nord».


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