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I sindaci del Sud coinvolti nell'iniziativa della ministra Carfagna

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Hanno dimostrato di avere le idee chiare i sindaci del Sud nel corso del webinar organizzato dal ministro Mara Carfagna. Idee chiare non solo sugli interventi da inserire nel Recovery Plan per colmare il gap interno al Paese, ma soprattutto sugli ostacoli che rischiano di far perdere al Mezzogiorno un’occasione che quasi tutti gli intervenuti hanno definito storica. Sul piatto, infatti, ci sono non soltanto i 100 miliardi dei fondi strutturali, ma anche i 50 del Pnrr.

STRUMENTI INADEGUATI

Il problema sottolineato da tutti è che i Comuni italiani, maggiormente quelli del Sud, non hanno gli strumenti per combattere adeguatamente questa battaglia. Lo dice Antonio Decaro, presidente dell’Anci, quando sottolinea come la burocrazia comunale sia ridotta nel numero e con una età media davvero lontana dal concetto di NextGeneration. I dati dicono che se nel 2014 al Sud c’erano 39.055 dipendenti negli enti locali, nel 2018 si erano ridotti a 32.950. Ancora più incisivo sul punto è stato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. La sua città, circa 675mila abitanti, ha un solo dirigente del settore tecnico. A Catania, invece, dice Salvo Pogliese, l’ufficio tecnico può contare su due ingegneri, due architetti e venti geometri su circa 2.300 dipendenti.

Se a questo aggiungiamo che molti Comuni del Sud sono piccoli o piccolissimi (il ministro Carfagna ha voluto farli rappresentare in questo dibattito da due donne, Rosanna Mazzia di Roseto Capo Spulico e Maria Antonietta Scelza di Salvitelle) e che tanti vivono in una situazione di dissesto o predissesto, il problema è palese.

Da qui l’elogio all’iniziativa del ministro Brunetta sulla sua riforma della Pubblica amministrazione che deve passare da un abbassamento dell’età media e uno sblocco immediato dei concorsi. In seconda battuta la richiesta di costruire delle task force di progettazione sul Recovery a sostegno delle Municipalità.

INFRASTRUTTURE, ZES E LEP

Il secondo punto di criticità sono i tempi. Lo spiega bene il primo cittadino di Napoli, Luigi de Magistris. «Il governo precedente ci aveva messo una fretta terribile – dice – Noi abbiamo raccolto la sfida, chi con progetti preliminari, chi con progetti definitivi. All’epoca si ragionava sulla possibilità che entro marzo sarebbero arrivati i primi acconti e invece siamo ancora alle linee generali. Allora bisogna accelerare subito».

Detto questo, il punto è cosa fare di questa mole di finanziamenti in arrivo. Molti sindaci hanno già, come dicevamo, presentato i loro progetti ma fra tutti c’è un filo conduttore chiaro: la mobilità. Il vero problema del Sud è che non solo è isolato dal resto del Paese,  ma anche al suo interno.

Un isolamento che si può spezzare non solo con le reti materiali, ma anche quelle digitali che possono rappresentare il vero trampolino di lancio per il Mezzogiorno (basti pensare al south working). L’infrastrutturazione, ovviamente sostenibile, è dunque la priorità, a partire dall’alta velocità vera che deve arrivare fino a Reggio Calabria. Orlando dice di non volersi impiccare sul tema del Ponte sullo Stretto, ma che il vero tema è garantire la possibilità di arrivare da Reggio Calabria a Roma in quattro ore e possibilmente in tempi celeri da Palermo a Reggio.

L’altro grande tema è quello delle Zes, sollevato da Decaro. Le otto zone economiche speciali varate dal governo nel 2017 devono essere rese davvero attrattive per gli investimenti attraverso investimenti sulla logistica, sui retroporti, sulle reti viarie.

Ma la madre di tutte le battaglie resta garantire i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) che al Sud troppo spesso sono negati. Questo significa ridurre il gap dei trasferimenti statali in settori cruciali come gli asili nido, i trasporti, i tempi di conciliazione fra lavoro e famiglia. Su questo il ministro Carfagna ha preso un impegno molto netto.

 LA QUOTA DI RECOVERY PER IL SUD

Un altro punto controverso è la quota di Recovery che spetta al Mezzogiorno. Un tema sollevato con irruenza dal sindaco di Messina, Cateno De Luca, che addirittura lo scorso 8 febbraio ha inviato una diffida al governo Conte sul famoso 34% che spetterebbe al Sud. Gli ha dato manforte il collega di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà. «Il problema di questa percentuale – dice – è che tiene conto della programmazione ordinaria dei fondi strutturali. Fa venire meno, quindi, il carattere aggiuntivo del Recovery. Dico en passant che, secondo i calcoli della Svimez, al Sud toccherebbe circa il 60% di queste risorse».

Ma Falcomatà ha posto anche un’altra questione, che è quella dei beni confiscati alla mafia che si fa difficoltà a riconvertire in beni comuni. Per il sindaco di Reggio serve una semplificazione delle regole sul loro riuso. Proprio di semplificazione si è molto discusso fra i sindaci perché assieme al problema della quantità e qualità di personale per accelerare la spesa è necessario anche snellire la burocrazia. Se De Luca lo propone per le grandi opere strategiche, per le quali si dovrebbe spostare la scadenza del 2023, De Caro lo chiede per tutte le opere del Recovery non tanto nell’affidamento dei lavori, ma nell’iter burocratico successivo.


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