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Gli ultimi dati Istat (un milione di nuovi poveri), certificano il totale fallimento del reddito di cittadinanza. Ha mancato entrambi gli obiettivi per cui era nato. Per prima cosa non ha arginato la diffusione del disagio sociale (come dimenticare Di Maio e gli altri Cinquestelle che dal balcone di Palazzo Chigi a settembre di due anni fa annunciavano trionfanti la vittoria nella battaglia secolare contro l’indigenza?). In secondo luogo ha fallito nelle politiche attive per il lavoro, visto che si è riusciti a trovare un contratto solo per tremila percettori del sussidio.  Quei pochi percettori del sussidio che sono riusciti a trovare un impiego, infatti, hanno fatto da soli.

LA LINEA DEL PIAVE DI M5S

È questa la deludente conclusione cui arriva lo studio condotto dall’ex sottosegretario Alberto Brambilla, presidente di “Itinerari previdenziali” (blasonato osservatorio sui temi del welfare) insieme a Natale Forlani, un passato alla Cisl e co-autore con Marco Biagi del famoso “Libro Bianco” sul mercato del lavoro. Lo studio snocciola numeri e tabelle evitando di entrare in polemiche dirette. Per esempio non dice che, alla fine, gli unici veri beneficiari del provvedimento-bandiera dei Cinquestelle sono stati i tremila navigator. Hanno lavorato poco, sono entrati “in sonno” a causa del Coronavirus e ora attendono la stabilizzazione che, a questo punto, non sarà negata. Evitano anche di polemizzare con Mimmo Parisi, “padre” del reddito di cittadinanza diventato presidente dell’Anpal, l’agenzia pubblica che si occupa di avviamento al lavoro.

Parisi non ha lasciato l’insegnamento negli Usa, scegliendo il pendolarismo con rimborso a carico dell’agenzia. Sembrava destinato a uscire di scena, visti anche i pessimi rapporti con Nunzia Catalfo, ex ministra grillina del Lavoro. Il successore Andrea Orlando, invece gli ha confermato la fiducia, non volendo logorare i rapporti con i grillini. Per la stessa ragione il governo Draghi, anziché intervenire, ha preferito rifinanziare il sussidio. Evidentemente il reddito di cittadinanza è la linea del Piave su cui si sono attestati Di Maio e soci. Da quella trincea non vogliono arretrare, anche se la loro bandiera non serve a nulla e costa molto (13 miliardi).

Lo studio cerca di capire cosa non ha funzionato e quali i possibili rimedi. Il fallimento sul fronte delle politiche attive è totale, visto che su una platea potenziale di circa 1,3 milioni di persone solo 70 mila hanno avuto un contratto a tempo determinato (in gran parte senza bisogno di navigator) Il problema vero è un altro: come spiegare – numeri alla mano – la sua inefficacia anche nel contrasto alla povertà economica?  Questa la domanda da cui muovono i Brambilla e Forlani a poca distanza di tempo dal decreto del governo Draghi che ne ha di recente stabilito il rifinanziamento e, nella sostanza, anche l’ampliamento della platea di potenziali beneficiari.

GLI ERRORI E I LIMITI

Lo studio elenca la zavorra spiegando che si tratta di errori e limiti derivanti da questioni politiche, più che tecniche. I problemi sono la scarsa attinenza degli indicatori di reddito fiscalmente dichiarati rispetto alla concreta realtà, l’inconsistenza dei sistemi di controllo e i criteri di calcolo ed erogazione che penalizzano i soggetti più deboli (si pensi ad esempio ai casi dei nuclei numerosi o ai limiti fissati per la partecipazione degli immigrati).

Nonostante la critica radicale, Brambilla e Forlani non chiedono l’abrogazione del reddito di cittadinanza, a maggior ragione tenuto conto della complessa realtà economica con cui il Paese dovrà fare i conti post Covid 19. Al contrario, la proposta è semmai quella di svuotare gradualmente lo strumento, affidando ad altri ambiti del welfare (politiche educative, politiche attive per il lavoro e di sostegno alle famiglie) il compito di prevenire i rischi di impoverimento, così da ricondurre il reddito di cittadinanza e analoghi al ruolo che effettivamente compete loro: quello di interventi in ultima istanza. 

Un passaggio fondamentale per evitare che l’Italia imbocchi una pericolosa deriva assistenzialista. Una strada ampiamente percorsa negli ultimi anni con finalità squisitamente elettorali che rischia di portare a risultati del tutto opposti a quelli prefissati, almeno all’apparenza, o comunque dichiarati a scopo propagandistico. Come evidenziato dall’Osservatorio, non cavalcare o alimentare la povertà con aiuti fini a sé stessi, ma individuarne le cause e mettere in campo tutte le azioni, dalla formazione alla presa in carico, per contrastarla è l’unica soluzione per assistere davvero a una riduzione delle statistiche in materia.


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