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Il governo Draghi

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Un rischio ragionato, che è anche una opportunità. Il lodo Draghi è racchiuso in queste parole: la partita in atto per vaccinare il più alto numero possibile di italiani è nient’altro che la premessa per l’obiettivo vero della mission del presidente del Consiglio.

Ossia mettere l’Italia sul binario giusto, quello socialmente, politicamente, economicamente più redditizio: la crescita fondata sul “debito buono”, non assistenziale e a pioggia bensì di caratura schiettamente produttiva.

Fondamentalmente, Draghi sta a palazzo Chigi per questo. Per prosciugare le sabbie mobili dove i partiti si erano impantanati e disegnare, garantendone la praticabilità, un modello Italia che consenta al Paese di riprendere a correre.

Il vero punto di svolta, la vera discontinuità che il premier ha messo sul tappeto è questa. Ora la partita che si gioca è tra chi vuole aiutare l’ex presidente Bce a imboccare il sentiero dello sviluppo e della discontinuità, e chi preferisce restare attardato alle logiche resistenziali e di potere di uno scenario che è in dissoluzione.

IL PROGETTO PAESE

La conferenza stampa di ieri – a proposito: si vede che SuperMario ci ha preso gusto – più che un rendiconto delle decisioni assunte dalla cabina di regia sulle riaperture è stata l’illustrazione di un progetto-Paese che Draghi aveva in mente da tempo e che adesso è chiamato non più solo a stilare ma a concretamente realizzare. Un modo come un altro per dire: sono qui per questo, giudicatemi su questo.

Di che si tratta il premier l’ha spiegato con il linguaggio senza fronzoli che lo identifica. Le risorse con il crisma umanitario, per aiutare i tanti che “non per responsabilità proprie” hanno visto la loro attività azzerata. Il progetto dei 57 cantieri, ognuno con un commissario ad hoc con il compito di stimolare e vigilare, per riavviare la leva degli investimenti pubblici.

La sburocratizzazione, per trasformare i progetti in realtà. “I cittadini si chiedono: ma quando le vedo queste cose qui?”, ecco la frustata del capo del governo.

LE SEMPLIFICAZIONI

Significa che l’intervento della mano pubblica deve impegnare risorse per opere non solo cantierabili ma con precisione temporale verificabili, che gli italiani possano in certo senso toccare con mano. La strada della revisione del codice degli appalti è stata esclusa dal ministro Giovannini: si tratta di materia troppo politicamente scottante, di difficile maneggiabilità. Tuttavia un meccanismo più agile e concreto per introdurre “forti semplificazioni” è necessario.

Potrebbe tornare utile un sistema tipo modello Genova, il medesimo che ha permesso di ricostruire a tempo di record l’ex Ponte Morandi ora Ponte San Giorgio.

La “strana maggioranza” di larghe intese è percorsa da tante fibrillazioni, e Draghi nel confronto con i giornalisti ha voluto accanto a se il ministro Speranza anche per zittire eventuali seminatori di zizzania. Ma ascoltando le sue parole è difficile allontanare il sospetto che si tratti di fuffa mediatica, di strumentalizzazioni che devono tutelare l’immagine di questa o quella forza politica.

Perché invece la ciccia, la sostanza dell’azione di governo è nella scommessa (non azzardo: non c’è nulla di casuale nella scelta delle parole da parte di Draghi) di utilizzare risorse finora inimmaginabili per cambiare il volto del Paese.

L’ASSO NELLA MANICA

L’asso da calare in questa partita è la crescita. Il chiavistello con il quale non solo si rimette in moto l’Italia ma addirittura si può alleggerire il fardello più gravoso di tutti, quello che finora ha zavorrato ogni prospettiva di ripresa. È il Moloch del debito pubblico che Draghi vuole aggredire. Fare debito in questa fase non solo è necessario: diventa obbligatorio.

A patto ovviamente che la montagna di finanziamenti precipiti nel bacino giusto. Se il debito pubblico si abbassa, tutto diventa più facile. Ma la strada giusta per centrare un così ambizioso, ma forse in questa contingenza non più irraggiungibile, obiettivo non sono le politiche restrittive o di austerity degli anni passati.

Il Covid ha costretto tutti, a partire da Bruxelles , a cambiare schema di gioco. Più debito (vedi il nuovo scostamento di 40 miliardi) che funziona come stimolo, come enzima per lo sviluppo: giusto, sostenibile, verificabile.

LA ROAD MAP

Le divaricazioni politiche sono ineliminabili e da nessuna parte è scritto che siano necessariamente un male. Lo diventano se fomentano lo scontro al posto della fiducia.

Ma di fronte alla road map sciorinata dal capo del governo è davvero complicato dissociarsi. E ancor più impervio è immaginare che possa esserci qualcuno di più adeguato a passare, in quest’ambito, dalla teoria alla pratica dell’attuale presidente pro tempore del Consiglio.

L’aspettativa che davvero l’azione di un esecutivo nato in condizioni di drammatica necessità e che sfugge “ad ogni formula politica” possa realizzarsi, è alta. Draghi ne è consapevole come lo era Sergio Mattarella che l’ha chiamato al Quirinale. Però un’altra strada, allora come ora, non si palesa.


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