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La ministra per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna

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«È indispensabile accendere il motore del Sud»: così afferma la neo ministra Mara Carfagna che si è trovata ad affrontare un impegno straordinario in un momento difficilissimo ma anche esaltante. Si tratta, infatti, di individuare il progetto di sviluppo per la riunificazione economica del Paese.

In una realtà, causa pandemia, nella quale c’è un «si salvi chi può», e la parte forte non vuole cedere nulla, tanto che è voluta entrare, con la Lega e Forza Italia, nel nuovo governo, per poter avere potere decisionale nella distribuzione delle risorse.

Il Paese dovrebbe avere le idee chiare sugli obiettivi da perseguire.  Che non possono limitarsi, come si sente dire da più parti, a un recupero di quello che si è perso con la pandemia. Perché se così fosse non si spiegherebbero le notevoli differenze esistenti nell’assegnazione delle risorse da parte dell’Unione europea ai vari Stati.

Ma la sensazione netta è che per il nostro Paese tale indicazione non è stata sufficientemente chiara. Il balletto delle cifre da assegnare alle varie parti, dal 34%, che è la percentuale della popolazione meridionale, al 40%, che è la percentuale dei 209 miliardi aumentati successivamente con risorse già destinate al Sud, la dice lunga. La richiesta di riportare alla percentuale maggiore di risorse calcolata dall’Unione sulla base dei parametri di riferimento: popolazione, tasso di disoccupazione e reddito oro capite, non è più presa in considerazione.

PROGETTI NEBULOSI

In realtà tutto dimenticato nella distribuzione che sarà comunicata alla fine del mese e che si attuerà nel piano comunicato all’Europa. Per colpa del governo Conte e di Provenzano – sembrerebbe capirsi dalle affermazioni della ministra – che avevano contenuto gli investimenti previsti per il Sud.

Ma, al di là delle responsabilità, che si attribuiscono sempre a chi c’è stato prima, come il buon ultimo barbiere scelto che ti dice iniziando il suo servizio: “Ma chi te li ha tagliati questi capelli?”, il tema di fondo riguarda tanti aspetti che non bisogna sottovalutare.

Il primo è quello relativo a un progetto vero per il Mezzogiorno che non sembra ancora sufficientemente chiaro. Vi sono richieste varie da parte dei territori, dei partiti, dei singoli rappresentanti che non convergono su un filo rosso condiviso, che non sembra essere chiaro nemmeno a livello centrale. La richiesta più pressante è quella di infrastrutturare tale area, ma spesso non si capisce a quale fine. Per far viaggiare più velocemente la popolazione del Sud, peraltro in un percorso di diminuzione demografica accelerata negli ultimi anni? Forse, se l’obiettivo è solo questo come qualcuno dice, non ne vale la pena.

ATTRARRE INVESTIMENTI

L’alta velocità/capacità da Salerno ad Augusta/Palermo costa 50 milioni a chilometro, per un costo complessivo, se fatta veramente e non quella farlocca proposta finora, che prevede aggiustamenti marginali di tracciato, di oltre 50 miliardi e con il ponte sullo stretto, indispensabile complemento alla linea, di poco meno di 60 miliardi, e che ha senso se dietro c’è un progetto di piattaforma logistica mediterranea.     

L’attrazione dei traffici mondiali, che passano dal Canale di Suez, deve essere il completamento di un tale progetto, altrimenti non se ne giustifica l’investimento. Quindi recupero di tutta la baia e del porto di Augusta e ulteriore valorizzazione di quello di Gioia Tauro. Ma tale progetto cozza con il potenziamento di Genova e Trieste che il Recovery Plan prevede.  Peraltro, se questo è l’obiettivo, deve sposarsi con una idea di industrializzazione accelerata dell’area che dovrebbe venire dalla messa a regime delle Zes.

Mentre invece l’attrazione di investimenti si è posto come problematica riguardante tutto il Paese, piuttosto che in modo particolare il Mezzogiorno, area nella quale mancano all’appello oltre tre milioni di posti di lavoro.   

Anche sul sistema della spesa delle risorse, se centralistico o dal basso, non sembra vi sia accordo. E mentre i responsabili delle precedenti politiche sul Sud continuano a dare le loro ricette fallite dello sviluppo dal basso, con i fondi spesso intercettati dalle classi dominanti estrattive locali, che ne hanno fatto strumento per accaparrarsi risorse per le proprie clientele, i territori, anche con il movimento dei sindaci, pretendono un maggior coinvolgimento che potrebbe essere estremamente pericoloso.

Infatti il passaggio attraverso le amministrazioni dei Comuni e delle Regioni non è la strada maestra, perché già dimostratasi fallimentare, anche nella capacità di spesa. Mentre serve un centralismo opportuno. L’iniziativa del ministro Brunetta è utile ma i risultati li avremo nel lungo termine, non nel breve: 2800 tecnici per aumentare la capacità progettuale sono determinanti ma gli effetti li avremo nel tempo. Anche se tali professionalità saranno assunte in estate con una procedura lampo, non possono essere utilizzati a breve.

SUD IMPOTENTE

D’altra parte mi pare che la logica sottostante al piano continui a essere quella di investire sulla locomotiva del Paese, che è il Nord. E conveniamo tutti che essa la più facile.

 Lì trovi progetti pronti, un’idea di sviluppo condivisa, amministrazioni locali adatte a supportare un’idea collettiva di futuro. Tutto quello che manca nel Sud, dove ancora i “capetti”, con monopoli di voti a disposizione, controllano e determinano le azioni e la spesa. Per questo lo sforzo deve partire da quella classe dirigente nazionale che deve imporre lo sviluppo del Sud, perché è quello che serve a tutto il Paese.

La sensazione, ancora oggi, invece, è che prevalga la politica del “mio giardino di casa”, al di là dei proclami sul Mezzogiorno centrale, validi quanto le grida manzoniane. 

Mentre anche il Sud più propositivo e virtuoso, peraltro in minoranza, non riesce ancora a esprimere un pensiero unico da imporre al Paese, spesso preoccupato anch’esso di mantenere le rendite di posizione da ciascuno conquistate. D’altra parte ci sarà pure una ragione per la quale da 160 anni quella che da tanti veniva ritenuta una problematica affrontabile e risolvibile in tempi umani, la ritroviamo come tema sul quale molto dibattere e poco operare.


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