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Mario Draghi

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Il più è fatto? No, il meno è fatto. La presentazione del famoso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è un passo cruciale della “Ricostruzione” dell’economia italiana – un termine, quello della “ricostruzione”, che riprende volutamente quel decennio postbellico in cui il “calabrone” italiano riuscì a volare e ad entrare nel plotone di testa dei Paesi industrializzati.

Ma è pur sempre una lista di intenzioni, anche se argomentate con forza e cogenza. Quello che è diverso, rispetto a tanti “libri dei sogni”, a tanti programmi elettorali, a tanti programmi di Governo che abbiamo stilati, letti e conservati nei decenni passati, quello che è diverso è un “filo rosso”: il filo rosso dell’urgenza, il filo rosso dell’occasione che ci viene offerta e che mai si ripeterà, il filo rosso dell’ultima spiaggia, il filo rosso della prova d’esame che apre le porte alla vittoria o alla sconfitta…

Mai, nella storia del dopoguerra, c’è stato un momento come questo, in bilico fra l’afflato o la frana. Scorrendo la lista dei programmi di spesa, delle riforme, delle ‘intenzioni’, appunto, si rimane colpiti dalla vastità degli impegni e dall’ambizione delle iniziative. Se il famoso «qui si parrà la tua nobilitate» dovesse essere giudicato sulla base dei progetti, il giudizio passerebbe a pieni voti. Ma la ‘nobilitate’, come tutti sappiamo, non sarà nelle intenzioni ma nei fatti. Osservazione, questa, banale ma vera, e di questa verità sono ben consapevoli i governanti, da Mario Draghi all’ultimo ministro.

La sfida dell’implementazione non richiede solo competenza tecnica e capacità di coordinazione: ci vuole cervello ma ci vuole soprattutto cuore. Ci vuole un cuore da gettare oltre gli ostacoli, ci vuole un idem sentire, ci vuole, per citare le parole conclusive delle dichiarazioni programmatiche del Presidente del consiglio (17 febbraio scorso) la ferma convinzione che, in chi si accinge a questo compito immane, «l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia». Cervello e cuore sono presenti in eguale e colma misura in Mario Draghi, ed è cruciale che questa unità d’intenti si ritrovi anche nella maggioranza che sostiene il Governo.

Fuori d’Italia, è da segnalare come questo PNRR – e i PNRR degli altri Paesi – configurino un’altra occasione irripetibile: l’occasione, anche qui, di una “rifondazione” del Vecchio continente, del passaggio a una più alta concezione – solidale, per non poter ancora usare la parola “federale” – della costruzione europea. Il Next-Gen Eu è il segno di una nuova Europa, dietro la quale manca solo il cuore, quel cuore esemplificato dalle parole di Carlo Azeglio Ciampi, che definiva se stesso «cittadino europeo, nato in terra d’Italia».

Questa “più alta concezione” troverà naturalmente ostacoli, e spiace constatare che ancora una volta chi tira il freno a mano è la Germania. La Corte di Karlsruhe ha alfine dato il via libera, a denti stretti, al Next-Gen EU, ma ha messo dei paletti sull’uso delle risorse, che dovranno essere limitate ad affrontare solo le conseguenze della pandemia. Fortunatamente, dato che, come diceva Marco Aurelio, «tutto è parte della grande ragnatela», nelle “conseguenze della pandemia” possiamo metterci di tutto e di più.

Torna alla mente la questione del Mes, dove l’accordo diceva che i soldi possono essere usati per le spese volte a lenire il virus, direttamente e indirettamente. Come osservò il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire, le spese necessarie per sostenere l’attività economica dapprima e far ripartire l’economia in seguito sono spese sanitarie indirette: “È scritto nero su bianco” – disse Le Maire – «si parla di costi di prevenzione. E il lockdown lo è». Ma la Corte di Karlsruhe va più in là, e si preoccupa fin d’ora di riaffermare, come scrive Stefano Micossi (sul sito “InPiù”) «la preoccupazione principale che i nuovi strumenti non creino vincoli o impegni a favore di altri Paesi membri nei poteri di bilancio del Bundestag. Se pensavamo che Next Generation EU fosse un passo avanti verso una unione fiscale, la Corte di Karlsruhe ci ricorda che continuerà a opporsi».

Ma ci sono ragioni di speranza. C’è una corrente profonda che spinge l’Europa verso una unificazione continentale e, malgrado le scaramucce di retroguardia dei giuristi tedeschi, questa corrente procede. Dopo la caduta del Muro di Berlino, quando Mikhail Gorbachev venne in visita a Bonn, il Cancelliere Helmut Kohl lo condusse alla grande terrazza da cui si dominava il maestoso incedere del Reno. Vede Presidente, gli disse, così come non si può fermare la corrente del Reno (un’altra ‘corrente profonda’!), non si può fermare l’unificazione delle due Germanie. E anni dopo, nei mesi cruciali del varo della moneta unica, Kohl trascurò il veto della Bundesbank alla partecipazione italiana, in nome del superiore interesse della costruzione europea.

Ma torniamo all’Italia e al PNRR. Tante analisi dell’economia italiana – incluse quelle introduttive al nostro PNRR – puntano il dito sullo scarso aumento della produttività. Ma è la crescita che ristagna perché la produttività è bassa, o la produttività è bassa perché c’è poca crescita? Come ha osservato Enzo Cipolletta (sul sito “InPiù”) un recente studio della Banca d’Italia («Change in the employment structure and in job quality in Italy») ha messo in evidenza che, tra il 2011 e il 2017 i posti di lavoro nel nostro Paese si sono abbassati di qualità, volgendosi verso lavori a bassa remunerazione (e quindi a bassa produttività), mentre in altri Paesi europei è avvenuto il contrario.

Tutto questo è avvenuto nel contesto di una crescita quasi nulla del Pil: se ne può dedurre che molti lavoratori italiani hanno dovuto rassegnarsi ad accettare posti di lavoro poco pagati: la bassa crescita non ha consentito di creare migliori posti di lavoro. Insomma, si potrebbe concludere che la bassa produttività che abbiamo registrato sembra essere stata in presa diretta con la bassa crescita dell’economia. Nel breve termine, conclude Cipolletta, «la produttività di un Paese dipende dalla sua crescita e non l’inverso. Nel lungo termine, le due cose vanno assieme, con un intreccio di relazioni dove è di scarso interesse sapere qual è la causa è qual è l’effetto».

Il PNRR spingerà la crescita del Pil, e – è consolante saperlo – i settori in cui maggiormente opera, dalla digitalizzazione alla transizione ecologica agli investimenti in infrastrutture… – sono settori in cui si creano posti di lavoro migliori. Avremo, insomma, più crescita e più produttività. Sol che si passi dalle intenzioni ai fatti…


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