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Un tampone per la ricerca del coronavirus

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LE REGIONI nel 2020, per fronteggiare la pandemia Covid durante la prima e seconda ondata hanno speso 1,65 miliardi per “l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e altri beni sanitari inerenti l’emergenza”. Un terzo di questa cifra riguarda soltanto due regioni, Emilia Romagna (326 milioni) e Veneto (230 milioni) che, è vero, tra marzo e maggio sono state tra le più colpite ma non più della Lombardia che ha speso 161 milioni, nonostante una popolazione residente doppia.

I numeri sono inseriti in un documento “allegato al protocollo 11747 del 2021” del ministero dell’Economia con il quale viene riconosciuto dal governo nazionale il rimborso alle Regioni di un miliardo di euro.

Somma che è stata, quindi, suddivisa in proporzione alla spesa che è stata rendicontata direttamente dalle Regioni, come viene sottolineato in un passaggio del documento ministeriale: «Vista la comunicazione del 26 gennaio 2021 – si legge – con la quale la struttura del Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 pro-tempore ha trasmesso le seguenti informazioni inerenti le spese sostenute e rendicontate dalle Regioni e Province autonome per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e altri beni sanitari inerenti l’emergenza con riferimento all’anno 2020».

Dalla tabella inserita, si evince che la Lombardia, pur essendo stata la regione più martoriata tra marzo e maggio, sino ad aprile ha rendicontato costi per 124 milioni; l’Emilia Romagna 175 milioni, il Veneto 136 milioni. Segue poi il Lazio con 103 milioni, Toscana 85 milioni, Piemonte 75. Le regioni del Sud, solamente sfiorate dalla prima ondata, sono in fondo alla classifica di spesa: Puglia 33 milioni, Campania 75 milioni, Calabria solo 7 milioni, Basilicata 5.

Dopo aprile, le Regioni hanno rendicontato altri costi sostenuti sino alla fine del 2020, quando la seconda ondata si è abbattuta equamente su tutto il Paese. Anche dopo l’8 aprile, l’Emilia risulta essere la regione che ha rendicontato la maggiore spesa, 150 milioni circa; segue il Veneto con 94 milioni, e poi tutte le altre: Toscana 63 milioni, Piemonte 45, Lazio 41, Campania 39 milioni, Lombardia 36. Le Regioni del Sud, anche dopo aprile, sono quelle con minore spesa: Puglia ha dichiarato un conto da 18 milioni, la Calabria quasi 6 milioni, il Molise appena 600mila euro, la Basilicata addirittura zero euro. Riassumendo, da marzo ad aprile le Regioni “denunciano” una spesa complessiva di poco superiore ad un miliardo; dopo aprile di 635 milioni, complessivamente 1,65 miliardi.

Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha istituito «per l’anno 2021 un fondo con una dotazione di 1.000 milioni di euro quale concorso a titolo definitivo al rimborso delle spese sostenute dalle Regioni e Province autonome nell’anno 2020 per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e altri beni sanitari inerenti all’emergenza», si legge nel documento. Il miliardo è stato così suddiviso: all’Emilia Romagna andranno 216 milioni, al Veneto 197 milioni, alla Lombardia 135 milioni: totale 548 milioni, oltre il 50% nonostante la loro spesa sia inferiore la 50% di quella totale, seppure di poco. Alla Puglia andranno invece 19 milioni, alla Campania quasi 40 milioni, alla Calabria 5, alla Basilicata 2, al Lazio 48 milioni.

Cosa abbia prodotto queste differenze di spesa nel documento non è specificato, l’unico dato che emerge è che Emilia e Veneto, nonostante una popolazione residente di gran lunga inferiore a quella lombarda, abbiano speso molto di più. Eppure, non si può certo dire che la Lombardia sia stata meno flagellata dal Covid-19, anzi. Ma anche dopo aprile 2020, quando il virus ha colpito tutti indistintamente, le regioni del Nord hanno avuto costi superiori a quelle del Sud. Una maggiore spesa che, oltre a dare diritto ad un più cospicuo rimborso, rischia di aumentare il gap tra Nord e Sud in materia di sanità.

D’altronde, che ci sia questo pericolo lo ha sottolineato recentemente anche la Corte dei Conti. L’emergenza Covid ha amplificato le differenze tra il Mezzogiorno e il resto del Paese: mentre le Regioni settentrionali hanno accresciuto la propria spesa del 3,74% rispetto al 2019, quelle del centro del 5,78%, nel Mezzogiorno l’aumento è stato molto più contenuto, +2,41%. 

Non solo: delle 83.180 assunzioni fatte negli ospedali tra medici, infermieri e altro personale, 38.942, quasi la metà, sono concentrate al Nord, 15.992 al Centro, 18.970 al Sud, e 9276 nelle due isole. E’ quanto emerge dal “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” della magistratura contabile, una fotografia amara per il Mezzogiorno che sostanzialmente vede ampliare la forbice e il divario, anziché ridursi. I dati relativi ai costi sostenuti nel 2020 dalle amministrazioni regionali evidenziano, nel complesso, una variazione dell’3,7 per cento, di molto superiore a quella registrata nel 2019 (+1,4 per cento).

A consuntivo, la spesa sanitaria ha raggiunto i 123,5miliardi, con un incremento di quasi 7,8 miliardi rispetto al 2019, superiore a quella prevista di oltre 2,6 miliardi. Ma se il Veneto ha aumentato la propria spesa del 7,79%, la Toscana del 7,21%, l’Emilia Romagna dell’8,66%, al Sud la Puglia ha incrementato solo del 2,90%, la Campania del 3,57%, la Calabria ha ridotto dello 0,8%. «Nel Nord del Paese – si legge nella relazione della Corte dei Conti – l’aumento è superiore nelle regioni non in Piano (+3,4 per cento) rispetto a quelle in Piano (+2,7per cento)».

Le Regioni in Piano di rientro sono tutte del Sud, quelle non in Piano quelle del Nord. «Sul fronte del ruolo sanitario – evidenziano i magistrati contabili – crescono sopra media, oltre Bolzano e Valle d’Aosta, il Lazio, l’Emilia e la Toscana (tra il 6 e il 4,9 per cento). Le regioni di minori dimensioni del Sud (Molise, Basilicata e Calabria) registrano una seppur contenuta riduzione, regioni queste che presentano (uniche nel quadro nazionale) una flessione complessiva della spesa rispetto al 2019».

Sul fronte del personale, non solo il Nord ha assunto di più ma lo ha fatto garantendosi più medici e infermieri a tempo indeterminato rispetto al Mezzogiorno. «Nelle aree del Nord (sia in quelle del Nord-ovest che del Nord-est) e del Centro, seppur in misura inferiore, l’aumento dei costi dell’area sanitaria – si legge – è in prevalenza riconducibile a contratti a tempo indeterminato. Nel Sud l’aumento è invece solo per il 16 per cento riferibile a forme permanenti; di converso, l’incremento dei costi è per l’83 per cento riconducibile a posizioni a tempo determinato».

Insomma, dipendenti che, terminata l’emergenza, gli ospedali del Mezzogiorno perderanno e, quindi, arretreranno ulteriormente rispetto alle strutture del Nord. Secondo la Corte dei Conti, comunque «il sistema sanitario italiano, nonostante le difficoltà incontrate, ha retto all’impatto della crisi che dal marzo del 2020 ha interessato il nostro Paese».

«Ciò – prosegue – ha comportato costi importanti, non solo di natura finanziaria, che richiedono che l’attenzione dedicata nell’anno appena passato a questo settore così fondamentale per il benessere dei cittadini non si riduca. È ancora presto per fare un bilancio di quale eredità la pandemia finirà per lasciarci. La crisi non si è ancora conclusa e, soprattutto, non è ancora chiaro a quali adattamenti e a quali costi i nostri sistemi regionali saranno sottoposti in un periodo non breve di “convivenza” con il virus».


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