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Vittorio Sermonti, parlando della terza Cantica della Divina commedia – il Paradiso – la descriveva così: «La più bella delle tre, come del resto ognuna delle altre». Parafrasando, si potrebbe dire della Puglia: la più bella delle regioni del Mezzogiorno, «come del resto ognuna delle altre»…

Il nome affonda nel latino, e gli inglesi la chiamano in latino: Apulia. E, fra le regioni d’Italia, si distingue per la varietà dei nomi: si chiamava, in greco antico  Iapyghia, Pùgghie,  Puie  o  Puje  in  pugliese,  Puja  in  salentino,  Pulia  in  arbëreshë e,  Poulye in francoprovenzale.

UN PRESENTE STRAORDINARIO

Ma lasciamo l’excursus toponomastico e veniamo al complicato presente. Un presente che è straordinario, nel senso che questo biennio – 2021-22 – ci dà l’opportunità di rivoltare l’Italia come un calzino, a cominciare dal Mezzogiorno. Un governo autorevole e “di unità nazionale” (a parte i nostalgici) ha a disposizione centinaia di miliardi di euro, e l’obbligo di spenderli bene ci costringe a rimuovere antiche magagne che da due decenni hanno condannato alla stagnazione l’economia italiana.

Come si colloca la Puglia all’alba di questa avventura? Piace partire da una lode al popolo pugliese, che torna di attualità ora che la terribile vicenda afghana riporta l’Europa e l’Italia di fronte al problema di quanti abitanti di quel disgraziato Paese cercano e cercheranno di venire da noi.

Non molti ricordano che vent’anni fa il presidente della Repubblica conferì alla Puglia la Medaglia d’oro al Merito civile: «In occasione dei massicci e ripetuti episodi di immigrazione clandestina, l’intera popolazione della Puglia dava prova collettiva di civismo e di forza morale. Con straordinaria abnegazione privati cittadini, Comuni, Province e istituzioni offrivano il loro determinante contributo e incondizionato impegno in soccorso dei numerosissimi profughi arrivati sulle loro coste in condizioni disperate. Operando generosamente per accorrere in aiuto dei più deboli, la Comunità tutta offriva alla Nazione splendido esempio di grande solidarietà sociale e nobile spirito di sacrificio» (D.P.R. 10 maggio 2000).

La Puglia si trova oggi di fronte a un’altra sfida: quella di riuscire a coniugare le proprie tradizioni e la propria storia e le proprie vocazioni produttive con l’innovazione  e la  tecnologia. In questi ultimi lustri ha raggiunto buoni livelli di specializzazione e ha attirato oltre 40 gruppi industriali internazionali appartenenti ai settori  aerospaziale,  automobilistico, chimico  e  Ict. Ma partiamo dal recente passato.

Difficile dire come l’economia pugliese abbia retto all’annus horribilis 2020. I dati regionali saranno disponibili solo a fine anno, ma l’Istat ha diffuso alcune stime provvisorie per macroaree: Centro-Nord e Mezzogiorno. A priori, ci saremmo aspettati che, paradossalmente, un’economia più arretrata riuscisse a resistere meglio a questo tipo di crisi rispetto a una più avanzata. Questo perché un’economia più avanzata è anche una più integrata, dove i mille fili delle interdipendenze strutturali legano strettamente manifattura e servizi, logistica e consumi, fornitori e clienti…

ECONOMIA PIÙ FLESSIBILE

Ora, la crisi da coronavirus ha colpito proprio quelle interdipendenze, ha costretto la mobilità all’immobilità, ha tagliato quei mille fili… Un’economia più arretrata è anche più flessibile, il sommerso (che fa parte del Pil) riesce per sua natura a resistere meglio rispetto all’emerso. In Italia non ci sono molte grandi imprese, ma certo ce ne sono più nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno, e sono proprio le grandi imprese che nei giorni più bui del 2020 hanno dovuto chiudere.

Ci saremmo aspettati, insomma, che di fronte a “frecce e dardi della sorte avversa” il Mezzogiorno avrebbe potuto resistere meglio – o, per essere più precisi, meno peggio – rispetto al Centro-Nord.

Le stime dell’Istat confermano i sospetti a priori, anche se le differenze non sono poi così marcate. Il Pil in Italia è caduto dell’8,9%, con un -9% del Centro-Nord e un -8,4% nel Sud.

E la ripresa del 2021 e del 2022 sarà anch’essa più favorevole al Sud? In teoria dovrebbe esserlo, ma per ragioni diverse da quelle che spiegano il “meno peggio” del 2020. Le ragioni stanno nel fatto che il Sud riceverà una parte maggiore dei miliardi del famoso Pnrr e quindi un più forte stimolo all’attività economica.

Non bisogna però nascondere i problemi strutturali che tengono la Puglia al guinzaglio. Nel prosieguo andiamo a illustrare luci e ombre, commentando i dati tratti dall’Istat e da una bella Relazione, uscita poche settimane fa, dell’Ipres (Istituto pugliese di ricerche economiche e sociali).

L’ANDAMENTO DEMOGRAFICO

Come si vede nel grafico di pagina 2, dal 2012 a oggi la Puglia ha subito una contrazione della popolazione maggiore di quella relativa al Mezzogiorno (a livello del Paese intero, la popolazione è cresciuta, se pure di poco, grazie agli immigrati). E là dove il numero degli abitanti è invece aumentato, in Puglia più che altrove, è nella classe di età degli anziani, il che non è un buon segnale. L’invecchiamento della popolazione pone sempre grossi problemi.
Come dice la Relazione, mentre nel 2012 ogni 100 decessi c’erano 96 nuovi nati, nel 2019 per ogni 100 decessi ci sono stati 72 nuovi nati. Nel 2020 la situazione è nettamente peggiorata a causa dell’ulteriore riduzione della natalità e un significativo incremento dei decessi: si stima che per ogni 100 decessi ci siano stati solo 60 nuovi nati.

Vale anche la pena ricordare, a proposito di stranieri, afghani e dintorni, che quando i sondaggi chiedono alla gente qual è la percentuale di stranieri in Italia, le risposte sovrastimano di molto (10, 20, 30%…) il valore effettivo. I dati Istat danno, al 2020, una percentuale di stranieri sulla popolazione residente pari all’8,4% per l’Italia e al 3,4% per la Puglia.

Le previsioni demografiche sono egualmente preoccupanti. Il grafico nella pagina accanto mostra la proiezione da qui al 2045.

PIL E OCCUPAZIONE

L’attività economica in Puglia negli ultimi 20 anni è andata stagnando, come si vede dal grafico del Pil pro-capite reale. E il confronto con l’Italia mostra che il livello del reddito pugliese è inferiore, rispetto a inizio secolo, più di quanto non sia inferiore, sempre rispetto a inizio secolo, il livello del reddito pro-capite italiano.

Anche i dati relativi a occupazione e disoccupazione confermano le distanze pugliesi. Non è una novità che i tassi di disoccupazione e di occupazione siano, rispettivamente, più alti e più bassi rispetto all’Italia, ma c’è una consolazione: per i giovani le distanze rispetto al resto d’Italia sono nettamente più basse.

Le grandi cifre sono impietose per la Puglia. Ma forse quello che si perde in quantità si guadagna in qualità? Il tessuto produttivo si è ristretto ma si è fatto più robusto?

ESPORTAZIONI DI QUALITÀ

Un indizio positivo lo si trova negli scambi. I settori esposti alla concorrenza internazionale sono sempre quelli che fanno maggiori sforzi di innovazione: è da lì che parte il riscatto. La prima illustrazione non è confortante: vedi l’andamento degli scambi e le quote della Puglia sul totale nazionale.
Ma un’interessante tabella dell’Ipres fa un confronto fra la capacità di esportare totale (rapporto fra export e Pil) riferita a Puglia, Mezzogiorno, Centro-Nord e Italia tutta, e la capacità di esportare limitatamente ai settori di punta: come si vede, per la Puglia la prima “capacità” è la più bassa, ma è la più alta per i settori avanzati. Segno che qualcosa si muove nell’ordito e nella trama della manifattura e dei servizi avanzati pugliesi.

(1 – continua)


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