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Il porto di Gioia Tauro

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Delocalizzare è un brutto verbo. Soprattutto quando si riferisce ad attività produttive che con lo spostamento degli stabilimenti verso altri Paesi distruggono posti di lavoro, con i problemi che conosciamo per i lavoratori coinvolti.

Il motivo delle delocalizzazioni risiede nella esigenza di contenere i costi, nella maggior parte dei casi, del lavoro, nella migliore accessibilità dei nuovi insediamenti, nella migliore accoglibilità dei nuovi territori, nella semplificazione amministrativa delle legislazioni dei nuovi Paesi, insomma in un migliore contesto complessivo che rende il nuovo insediamento più conveniente, nel senso che produce gli stessi beni a costi più contenuti.

Non va dimenticato che la delocalizzazione ha un costo e che le multinazionali interessate lo fanno quando l’alternativa è uscire fuori mercato, se non vi sono motivi geopolitici.

Ma non va dimenticato che il simmetrico in positivo di delocalizzare è attrarre investimenti dall’esterno dell’area. E cioè diventare attrattivi. Quello che dovrebbe essere il nostro obiettivo, soprattutto nelle aree a sviluppo ritardato del Sud. E che quindi invece di lamentarsi perché le aziende abbandonano le nostre realtà bisogna occuparsi di come fare in modo che le nostre aree siano scelte per l’insediamento di nuove attività produttive.

Nella competizione globale la lotta tra territori sarà sempre più accesa ed essere attrattivi diventerà sempre più complesso. Ma in molti hanno capito, soprattutto nei territori più deboli, che una accelerazione del processo di sviluppo può avvenire solo se si attraggono nuove iniziative imprenditoriali dall’esterno. Perché la mancanza di sviluppo spesso deriva da una carenza di cultura d’impresa, che certamente non può essere creata in quei tempi rapidi che sono richiesti per evitare l’impoverimento complessivo che deriva d una desertificazione economica progressiva, conseguente al processo inevitabile di emigrazione conseguente.

Ed allora il sistema scelto dalla Cina e dall’India, ed in Europa dalla Germania per la parte Est, e dall’Irlanda ed ora da Polonia e Ungheria è quello di favorire gli insediamenti di imprenditori esterni all’area rendendo i propri territori attrattivi.

Che la competizione sia di quelle all’ultimo vantaggio è sufficientemente chiaro. Ed allora bisogna occuparsi di eliminare quegli handicap che mettono fuori gioco alcune realtà del Mezzogiorno. Il primo elemento da garantire è la possibilità che i territori vengano raggiunti velocemente, via terra, aria, mare. Malgrado i recenti impegni presi dal Governo nazionale il Mezzogiorno ha problemi infrastrutturali enormi, frutto di un Paese che ha scelto subito dopo il dopoguerra di fermare l’Italia a Napoli, dove si è fermata l’autostrada del Sole. E successivamente anche l’ alta velocità ferroviaria. Ma anche i porti meridionali sono stati trascurati perché il Paese ha puntato prevalentemente su Genova e Trieste.

Un altro elemento che bisogna abbattere è la presenza di criminalità organizzata, la cui presenza è stata spesso anche amplificata dai media, per cui l’immagine trasmessa è stata di territori da farwest, nei quali bisognava uscire con indosso il giubbotto anti proiettile. Il problema comunque esiste e va affrontato, perlomeno rendendo alcuni territori assolutamente sicuri, magari quelli individuati per le Zes. Ma come dimostrano le altre Zes esistenti in Europa non è sufficiente che esistano tali condizioni per attrarre investimenti, perché il costo del lavoro differente può rendere molto più interessante localizzarsi in Romania o Albania piuttosto che in Italia.

E competere in tal caso è estremamente complesso: un modo può essere quello di limitare gli oneri fiscali che vengono caricati sul costo del lavoro e che spesso raddoppiano gli oneri per l’imprenditore.

La eliminazione degli oneri fiscali per tutto il Mezzogiorno voluta dal ministro Provenzano per tutto il Sud va nella direzione giusta, anche se la sua estensione temporale a tutto il territorio renderà presto il suo rinnovo impossibile. E poi è necessario competere dal lato della tassazione degli utili, perché l’imprenditore è ovvio che scelga quelle localizzazioni che gli permettano di pagare meno imposte sugli utili possibili. Per chiudere la semplificazione amministrativa, che consenta che tra la decisione e la realizzazione passi un tempo molto contenuto, è un elemento che aiuta molto le decisioni favorevoli. Molti di tali elementi riguardano il sistema Paese, come per esempio il funzionamento della giustizia, altri sono specifici dei territori meridionali. Nessuno di questi ha una attuazione semplice e forse è impossibile estenderla a tutto il Mezzogiorno. Per questo sono nate le Zes, purtroppo rimaste al palo, perdute nelle lungaggini amministrative della loro attuazione.

Per questo piuttosto che lamentarsi delle aziende che delocalizzano, allontanandosi da un sistema Paese diventato respingente, bisogna occuparsi di rendere la scelta di localizzare imprese nei territori, oltre che conveniente, anche vincente rispetto ai tanti competitor che hanno interessi analoghi.

La partita aperta, lo start é stato dato da un pezzo, gli altri corrono, noi svegliandoci dal torpore dobbiamo correre di più se vogliamo se non essere i vincitori perlomeno salire sul podio.


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